di Romano Pasquale – “Basta aver visto Stanlio e Ollio salire sulla cuccetta del treno per sapere che la vita non è semplice” ha scritto Osvaldo Soriano. E allora analizzando la sua carriera, con alti e bassi, fra gavetta e scalata al vertice del calcio – certo, parliamo di Giampiero Ventura – si può tranquillamente affermare, che l’impossibile può diventare possibile, l’utopia, a volte, si tinge dei colori della realtà.
Ventura è il nuovo ct della Nazionale di calcio. Un premio ad una carriera di cui l’ex insegnante genovese di educazione fisica ha salito tutti i più accidentati ed impervi scalini, dalla Quarta Serie alla Serie A. Non è stato per le verità un gran giocatore, come del resto Herrera, Sacchi, Mourinho, ma già da giovane nel ruolo di centrale, senza eccellere, allampanato e un po’ sgraziato, aveva il piglio del comando, il carisma del genovese che preferisce coniugare la pratica alla teoria, e una fitta parlantina.
A Novi era giunto sulla fine degli anni ’70 (ha indossato la maglia della Novese dal 1976 al 1978) con un certo Rigato, un mediano roccioso, provenienti entrambi dalla Sanremese. Era un elemento dotato di buona volontà, ma al centro della difesa dopo qualche tempo aveva dovuto dare forfait per un guaio fisico. Era stato sostituito dal giovane Sattin proprio nell’anno in cui la Novese, dopo venti e più risultati utili consecutivi, si giocò la C2 in fase di ripescaggio con la Sanremese.
Col presidente Dino Roseo eravamo andati a Firenze e, all’atto del responso a favore dei liguri, il presidente si trattenne a stento dal prendere a cazzotti un impiegato che aveva annunciato la notizia e che placidamente incollava dietro una scrivania francobolli per lettere di routine dopo che i responsabili del verdetto avevano in tempo abbandonato il campo.
La Novese di Ventura – allenatore il compianto “Pantera” Danova, asso del Milan – nell’anno di grazia 1978 era una squadra di buone qualità. La società, al termine del campionato, avrebbe dovuto essere ripescata in C2 per meriti sportivi, una vittoria in Serie A nel 1922, Stella D’Oro al Marito Sportivo, ma purtroppo anche nello sport non sempre conta il merito e la tradizione. Dopo questo sfortunato periodo, Ventura di li a poco smise di giocare e iniziò la carriera da allenatore, partendo da Albenga, un lungo itinerario poi fra la C, la B e la A, per giungere al Torino.
Quando era in forza ai Biancocelesti – chi scrive era allora un giovane cronista – ci fermavamo qualche volta a parlare ai bordi del campo dopo gli allenamenti anche se, probabilmente, non ci confrontavamo quasi mai su schemi e tattiche ma, se ben ricordo, a parlare delle belle donne della città.
Poi, giornalista alla Gazzetta del Popolo, girovagando per l’Italia per seguire le formazioni di Serie C, spesso incontravo Ventura in un bar sull’autostrada nel periodo in cui allenava la Pistoiese. “Siamo riusciti a far innamorare l’intera città toscana alla squadra, un vero e proprio miracolo, il passaggio da un centinaio di tifosi a diecimila; non proprio, se ben ricordo, come a Novi che non ha un grande pubblico di suiveurs, anche se quei pochi sono molto attaccati ai loro colori”. Ventura, nei nostri domenicali colloqui lungo l’autostrada, chiedeva sempre della Novese, del suo cammino e forse sarebbe rabbrividito se avesse saputo dell’attuale triste condizione della società biancoceleste in mano ad un gruppo di avventurieri. Giampiero Ventura, nuovo ct della Nazione azzurra, si staglia nella galleria dei personaggi che hanno, in epoche diverse, fatto grande la Novese, una delle più prestigiose società del calcio piemontese, da Ulivieri a Fumagalli, da De Paoli a Muzio, per non citare Ravazzano, portiere di riserva del grande Torino, l’ultima squadra che ha allenato Ventura. Nella Novese del Ct giocavano, Voglino, Girardengo, Schiesaro, Cerutti Cattaneo, Olivieri, Fancellu, Monti, Ghio, Sattin suo sostituto, Dellacasa, Corsello, Traverso, Merlano, Rosignoli, ora talent scout juventino, Severino, enfant du pays, Berlucchi. Un’allegra brigata di buoni giocatori per la categoria e che, in quella stagione di mezzo servizio di Ventura, si fecero molto onore. Ventura e come tecnico Danova, stella milanista, che era stato un grande giocatore, ma senza incantare come tecnico; Ventura ha fatto il percorso inverso, come a dire che non sempre i grandi allenatori sono stati grandi giocatori. E lui, maestro di calcio, segue questa vocazione senza grandi rimpianti. “Certo – dice il suo compagno d’allora Severino – come giocatore Giampiero non era un granché, ma era un tipo socievole. Al termine degli allenamenti ci trovavamo sul viale Saffi, da Pietro, il parrucchiere amante del calcio, e ci perdevamo in lunghe discussioni, e già allora Gianpiero sognava di fare l’allenatore”. Ora Giampiero, dopo una lunga e onorata carriera, è forse atteso dalla prova più ardua. La Nazionale che tutti amiamo, e che ai novesi è ancora più vicina, proprio per il ricordo dell’ex centrale biancoceleste. Come già per gli Azzurri di Bearzot nei suoi annuali incontri novesi con Passalacqua, un tempo arcigno difensore, e compagni. Bearzot amico del compianto don Giuseppe, parroco di Capriata D’Orba, che portò molta fortuna a quella Nazionale, campione del mondo. A Giampiero, già biancoceleste tanti anni fa per una breve e sfortunata stagione, auguriamo uguale sorte. Fra qualche tempo un cantautore della sua città, ne sono quasi certo, gli renderà omaggio per questa sua impareggiabile carriera.
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