Novi Ligure (AL) Vincenzo Rapa – Ovviamente il capo del governo non sa neanche che esistiamo. E se, per puro improbabile caso, ci avesse letto ci avrebbe sicuramente bollati come “gufi”. Che è poi il passo immediatamente precedente a dirci: “state sereni”!
Renzi, con un decisionismo da far sfigurare quello di craxiana memoria, alla vigilia di Natale del 2014 annunciava la nazionalizzazione dell’Ilva, accompagnandola con un’ espressione strappalacrime: “Lo dobbiamo ai bambini di Taranto”. Nel suo programma c’era il risanamento dell’azienda e il suo rilancio in tre anni. È molto probabile che i bambini malati di Taranto siano tutti guariti e che non corrano più nessun pericolo per il futuro. Infatti, un mese fa il governo ha deciso che si troverà un compratore entro il 30 giugno, cioè dopo solo un anno e mezzo dalla nazionalizzazione, senza aver realizzato il risanamento ambientale né, tanto meno, quello economico dell’azienda, e senza che la vicenda giudiziaria abbia avuto uno sblocco. E nemmeno l’ottimismo Renziano è servito ad evitare il continuo peggioramento dei conti dell’Ilva che perde 50 milioni di euro al mese. Così si stanzieranno altri 300 milioni, del contribuente, per facilitare la cessione. Il nostro essere “gufi” è consistito semplicemente nel mettere in evidenza una serie di problemi, non solo irrisolti, ma ulteriormente aggravati. La nazionalizzazione dell’azienda non era la soluzione giusta: in generale lo stato in un’impresa è la malattia, non la cura. Tanto più nel caso Ilva e non solo per quello che lo Stato imprenditore ha dimostrato in passato col disastro economico dell’Italsider, prima della cessione a Riva. Bisognava perseguire subito la strada della cessione a privati, assecondandola in tutti i modi, anche nei confronti dei rapporti con la magistratura. Bisognava ricercare, già un anno prima, un privato che rischiasse del suo. Esattamente ciò che si vuol fare oggi, ma con una situazione ulteriormente degenerata. Siamo stati facili profeti nel prevedere che ci sarebbe costata cara questa nazionalizzazione, ricordando i danni dell’esperienza Alitalia. Ed eccoci qui già a leccarci le ferite: 600 milioni di euro di perdita nel primo anno, più 50 ogni mese che passa, e i 300 ora stanziati per agevolare la cessione, poi tutti gli altri che verranno. Li conteremo alla fine, se saremo in grado di farlo. Inoltre, in questa triste vicenda, era facile prevedere che chi avesse riposto fiducia nell’intervento dello Stato per salvare il suo posto di lavoro o per il recupero dei crediti, poteva andare incontro ad amare delusioni, poiché solo un’azienda privata sana poteva dare loro reali certezze. Infatti ora ci sono nuovamente ansie per l’occupazione ed i creditori non sono stati pagati, se non in minima parte. E siamo stati facili profeti non dando per scontato il recupero dei 1.200 milioni di euro, detenuti dai Riva in Svizzera. Puntualmente, il recupero non si è concretizzato: il giudice svizzero ha ritenuto illegittimo espropriare fondi privati, in assenza di una sentenza di condanna a carico dei Riva. Era inoltre manifesto che la richiesta fosse rivolta allo scopo di devolvere i fondi per il risanamento ambientale e non quale sanzione di reato, ancora da dimostrare. Alla fine di questo autentico disastro gestionale sono arrivate le sanzioni da parte della Comunità Europea per aiuti di stato ad impresa privata. Si calcola che dovremo pagare una roba come 1,8 miliardi di euro. Inoltre non abbiamo apprezzato il protagonismo del nostro sindaco Muliere durante le manifestazioni dei dipendenti e la protesta dei trasportatori, con l’atteggiamento di chi ha la presunzione (tipica di quelli di sinistra che credono di risolvere i problemi coi dibattiti e le marce in piazza) di poter venire a capo della vicenda per via politica, attraverso quello, che certa stampa locale definiva “l’asse Miliere-Tafuri-Morando” (rispettivamente sindaco di Novi, prefetta di Alessandria e vice-ministro dell’economia laureato in filosofia). Non piace neppure l’ipotesi di lasciare alla Cassa Depositi e Prestiti una quota di minoranza, come si è detto, “per tutelare i posti di lavoro e l’indotto”. È solo un pretesto da parte dello Stato, che non vuole mai ritirare la mano dall’economia. Insomma, tutta la vicenda è stata gestita in modo assolutamente abborracciato, con spregiudicata superficialità, faciloneria, dabbenaggine e sbruffoneria toscana.
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