Alessandria (Andrea Guenna) – “La fede cristiana è amore, quindi è libertà perché dove c’è amore c’è libertà e dove c’è libertà c’è amore”. Così Alessandro Meluzzi ha commentato ieri, nella magnifica Chiesa di San Giacomo della Vittoria (nella foto di Tony Frisina) la serata dedicata a padre David Maria Turoldo, il frate servita e poeta cattolico morto nel 1992, considerato uno dei protagonisti del cambiamento in atto nella chiesa di cui fu “coscienza inquieta”. Turoldo era un profeta “nel senso che parla per conto di qualcun altro” e questo qualcun altro è Dio stesso. Un Dio che non ci ha dettato il manuale del buon cristiano come ha fatto invece l’arcangelo Gabriele con Maometto per il Corano che è il manuale del buon musulmano, ma tramite suo Figlio risorto ci ha mandato un messaggio d’amore: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Giovanni 13-34).
Una fede d’amore, il cristianesimo, che per il grande relatore non è una religione che chiude e rende prigionieri, dal latino “religo” legare, perché invece rende liberi, anche di sbagliare salvo poi pentirsi. Dio ci vuole così, liberamente imperfetti ma straordinariamente vivi, capaci di pentirci per guardare in faccia ciò che dobbiamo conoscere per stargli alla larga: il peccato, il male, satana.
E la morte è il mistero dell’immortalità come virtù della resurrezione: “Se io chiedessi a chi è in questa sala se crede nella reincarnazione – ha detto Meluzzi – quasi la totalità di voi mi risponderebbe di no. E invece la reincarnazione c’è e passa per la resurrezione della carne”. Citando la prima lettera ai Tessalonicesi ha ricordato che noi, grazie alla fede, vivremo in eterno: “Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui. Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo e saremo ancora in vita per la venuta del Signore, non avremo alcun vantaggio su quelli che sono morti. Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; quindi noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti insieme con loro tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore. Confortatevi dunque a vicenda con queste parole” (lettera di San Paolo ai tessalonicesi 1,4-13).
Una resurrezione simboleggiata dal Cristo Morto che sta sotto l’altare del Santuario di San Giacomo della Vittoria da Meluzzi indicato mentre parlava: “È un simbolo, il simbolo della morte che ci rimanda alla vita eterna. È un messaggio universale che unisce perché il termine simbolo deriva dal greco ‘symbolon’ che sta per ciò che unisce, in antitesi a ‘diabolon’ che in greco significa ciò che divide, cioè il diavolo. È il simbolo della vita: Cristo che è morto per spalancarci la porta dell’eternità”.
Quindi la rinascita è la nostra fede: “Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo; poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza. Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte” (1 Corinzi 15,20-26), morte qui intesa come fine e non come passaggio. E ancora: “A riguardo poi dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? Non è un Dio dei morti ma dei viventi!” (Marco 12; 27-27).
Prima di Meluzzi, nell’ambito di una coreografia gradevole e particolare, sei attori hanno interpretato alcune toccanti poesie di Turoldo.
Simpatici Adriano e Piero Guerrieri, i due fratellini che correvano allegri per la chiesa recitando alcuni versi.
Impeccabili i coristi della Polizia di Stato, mentre Margherita Succio al violoncello e Asia Uboldi al flauto hanno eseguito musiche immortali.
Gli attori Marcello Barbera, Francesca Orzalesi, Sebastian Passalacqua, Silvia Pivotto, Fabio Ponzano hanno interpretato sedici poesie di Padre Turoldo, l’ultima veramente toccante dal titolo “Io vorrei donare una cosa al Signore”.
Eccola:
“Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Andrò in giro per le strade,
zufolando così
finché gli uomini dicano: È pazzo!
E mi fermerò soprattutto con i bambini
a giocare in periferia.
E poi lascerò un fiore
ad ogni finestra dei poveri.
E saluterò chiunque incontrerò per via,
inchinandomi fino a terra…
E poi suonerò con le mani
le campane della torre,
a più riprese finché non sarò esausto.
E, a chiunque venga, anche al ricco,
dirò: “Siedi pure alla mia mensa!”.
Anche il ricco è un pover’uomo…
E a tutti dirò: “Avete visto il Signore?”.
Ma lo dirò in silenzio, con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Tutto è Suo dono,
eccetto il nostro peccato.
Ecco: gli darò un’icona,
dove Lui bambino
guarda gli occhi di Sua madre:
così dimenticherà ogni cosa.
Gli raccoglierò dal prato
una goccia di rugiada:
è già primavera, ancora primavera,
una cosa insperata, non meritata:
una cosa che non ha parole.
E poi gli chiederò d’indovinare
se sia una lacrima,
o una perla di sole,
o una goccia di rugiada.
E dirò alla gente:
“Avete visto il Signore?”.
Ma lo dirò in silenzio,
e solo con un sorriso.
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
Non credo più nemmeno alle mie lacrime.
E queste gioie son tutte povere.
Metterò un fiore rosso sul balcone.
E canterò una canzone tutta per Lui solo.
Andrò nel bosco questa notte,
e abbraccerò gli alberi.
E starò in ascolto dell’usignolo,
dell’usignolo che canta solo
da mezzanotte all’alba.
E poi andrò a lavarmi nel fiume,
come fanno i poveri.
E all’alba passerò sulle porte
di tutti i miei fratelli
e dirò a ogni casa: “Pace”!
E poi cospargerei la terra
di acqua benedetta
in direzione dei quattro punti
dell’universo.
Poi… non lascerò mai morire
la lampada dell’altare.
E ogni domenica mi vestirò di bianco!
Io vorrei donare una cosa al Signore,
ma non so che cosa.
E non piangerò più,
non piangerò più inutilmente.
Dirò solo: “Avete visto il Signore”?
Ma lo dirò in silenzio,
e solo con un sorriso.
Poi non dirò più niente”.
“Padre Turoldo aveva un cancro al pancreas – ha detto ancora Meluzzi – per il quale è morto. Un cancro che lui chiamava il drago che è entrato per divorarlo. Forse è stato l’effetto delle tensioni ideali, simboliche e di fede che il nostro ha provato lungo tutta la sua vita”.
Il professor Luciano Orsini, delegato vescovile per i beni culturali, ha presentato la serata e alla fine ha chiuso i lavori portando ai presenti (la chiesa traboccava di amici) i saluti del vescovo Gallese assente perché indisposto.
L’indimenticabile splendida serata è stata possibile grazie al contributo dell’associazione Spazioidea, di Edis Srl, delle associazioni Fryderyk Chopin, PassodopoPasso-Sez. Fotografia, Viviamo l’Arte, del Centro Servizi Volontariato di Alessandria, del Circolo Filatelico di Alessandria (nell’occasione Poste Italiane ha realizzato un annullo filatelico), del Conservatorio di Alessandria, del Coro della Polizia di Stato di Alessandria e della Diocesi di Alessandria.
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