di Roberto La Pira (Il Fatto Alimentare) – In Italia Coldiretti ha il ruolo di agenzia stampa nazionale per tutte le problematiche correlate al cibo, all’agricoltura e ai temi del mondo agro-alimentare. I comunicati spediti dall’associazione sono martellanti, ogni giorno ne arrivano 2-3-4, e anche il sabato e la domenica non c’è tregua. Le informative raggiungono in modo capillare la quasi totalità dei giornali, dei siti internet e molti politici interessanti a questi argomenti, oltre agli uffici stampa dei ministeri. Spesso i comunicati stampa raccontano fatti folcloristici o di costume (il menu di Pasqua e quello di Natale), o sono pezzi di colore. Qualche volta, invece, focalizzano l’attenzione su problemi veri. Su alcuni temi delicati Coldiretti utilizza frasi ambigue, ma verosimili. La maggior parte dei giornalisti apprezza e riporta negli articoli i dati e le cifre presenti sui comunicati come se fossero verità assoluta.
I lanci di Coldiretti sono considerati alla stregua delle dichiarazioni ministeriali, delle notizie Ansa o delle prese di posizione UE. Questa situazione è così diffusa che negli articoli sui giornali i numeri e le statistiche non sono dell’Istat, dell’UE o di un centro di ricerca ma sono preceduti dalla frase «…come riferisce Coldiretti».
Coldiretti difende il prodotto 100% italiano, senza pensare che l’importazione di materie prime permette di avere alcuni prodotti come la bresaola, il caffè, la pasta.
Il risultato di questa operazione è la costante presenza sui quotidiani, tv, radio e siti internet di rappresentanti della lobby, nella maggior parte dei casi senza un contraddittorio. In queste condizioni il parere di Coldiretti diventa l’unico riferimento, così che si trasforma spesso nella posizione ufficiale di diversi ministri.
A volte le iniziative suggerite da Coldiretti si trasformano in leggi approvate dal Parlamento. Basta citare la norma sull’etichettatura obbligatoria dell’origine dell’olio extra vergine e più in generale di tutti i prodotti alimentari importati dagli altri paesi UE, entrambe bocciate dopo pochi mesi dalle autorità di Bruxelles.
Tutto ciò avviene con l’avallo di alcune istituzioni che dimostrano poca conoscenza del diritto comunitario e una forte dipendenza dal pensiero della lobby.
Molti giornalisti utilizzano i comunicati, perché in quelle pagine trovano tutto quanto serve: dati, statistiche, spunti di attualità e anche qualche scoop. Basta rimaneggiare un po’ il testo e alla fine si va subito in pagina senza grande sforzo. Spesso il controllo di fatti e dati viene considerato superfluo perché si tratta di una fonte attendibile, mentre il contraddittorio è inutile perché pochi contrastano le tesi della lobby. L’esito è che in prima pagina su Repubblica si parla di pane surgelato rumeno importato dai supermercati italiani e preparato con il legno delle casse da morto.
Per contro i giornali e i siti non trattano i temi sgraditi a Coldiretti perché se non arrivano comunicati dalla lobby vuol dire che il tema è poco interessante. Il latte viene importato perché non ne abbiamo a sufficienza. Quello fresco ha sempre il bollino 100% italiano. Seguendo questa logica la maggior parte dei media non ha preso in considerazione i circa 1800 cittadini italiani che in un anno hanno contratto l’epatite A per aver mangiato frutti di bosco surgelati. In compenso si sono sprecati fiumi di inchiostro sull’origine del latte a lunga conservazione importato dall’estero. Non si dice che la metà del latte italiano viene importato perché non ne abbiamo a sufficienza e che le confezioni di latte fresco recano sempre il bollino made in Italy, se non addirittura la regione o la provincia di provenienza della materia prima.
Questa ostilità nei confronti dei prodotti alimentari stranieri è assurda visto che senza l’importazione di grano duro non si potrebbero produrre ed esportare la pasta italiana, così come alcuni dolci (panettone e colombe).
Senza la carne argentina e brasiliana non si potrebbe produrre la bresaola della Valtellina, che sarebbe scomparsa da anni, e infine senza il caffè dei paesi tropicali non esisterebbe il nostro espresso.
Tra le altre pecche di Coldiretti, sempre pronta a sbandierare la necessità di indicare l’origine dei prodotti in etichetta per valorizzare il Made in Italy, ricordiamo la debole battaglia contro il Ministero dello Sviluppo Economico per il mantenimento della dicitura dello stabilimento di origine sull’etichetta dei prodotti alimentari italiani (indicazione obbligatoria sino al 13 dicembre 2014). Anche sulla questione del 10-15% dei bovini italiani trattati con ormoni e altre sostanze vietate, segnalata da una ricerca commissionata dal Ministero della Salute all’Istituto Zooprofilattico del Piemonte e della Liguria, ha manifestato una certa freddezza.
Questi temi sono scomodi ed è più facile focalizzare l’attenzione sul pomodoro cinese che avrebbe invaso il mercato italiano, anche se non si trova nelle passate e nei barattoli in vendita nei supermercati, marchiati con il bollino “made in Italy”.
Anche sul problema della presenza dell’olio di palma nei prodotti alimentari italiani l’atteggiamento è stato molto timido.
L’amarezza per questa situazione nasce non solo dall’abilità della lobby di diffondere le notizie attraverso una buona narrazione, ma anche dall’atteggiamento di molti giornalisti che, quando si parla di consumi e sicurezza alimentare, anziché verificare le fonti preferiscono rimaneggiare i comunicati di Coldiretti.
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