dal Mocca di Alessandria – Dopo la prestazione offerta contro il Cittadella posso affermare con serenità che l’Alessandria, nata al mercato estivo con molte certezze ed altrettante aspettative, ma senza nessuna analisi fatta usando la testa, è già stata santificata per lasciare il posto ad un’altra Alessandria, molto diversa dalla prima. Meglio l’una o meglio l’altra? Sarebbe stata sicuramente meglio la prima se non fosse che i sogni, al risveglio, svaniscono sempre e ci si ritrova calati nella realtà che non è necessariamente quella che vogliamo, bensì un insieme di situazioni pensate e gestite da chi non vuole avere a che fare coi sognatori. A volte però sono le situazioni a mettere paletti invalicabili alle nostre aspettative. Banalmente: se ci piace una casa a fondovalle e speriamo che l’acqua piovana non la lambisca mai, siamo sognatori inguaribili perché non s’è mai vista l’acqua andare in salita. Tutto ciò per ribadire un concetto che in questa rubrica è già stato espresso più volte: se vuoi vedere la tua squadra giocare bene e con profitto come il Pescara di Zeman o la Roma attuale, devi usare precisi accorgimenti nella costruzione dell’organico e dotarti della serenità necessaria per capire che quella filosofia di gioco mal si sposa con il pragmatismo e, per raggiungere certi obiettivi, devi spesso impiegare più energie rispetto ad avversari che si accontentano di vincere senza strabiliare. La strada intrapresa da Di Masi e Magalini quindi nel pensare questa stagione è sicuramente più accidentata e piena di incognite rispetto a progetti sportivi più “ tradizionali “. Ma se è vero che nel calcio ogni tanto si vede tutto ed il contrario di tutto è anche vero che il fulmine si scarica quasi sempre su un parafulmine, anche se non sempre è così. E allora nel calcio come si fa a fare le cose cercando di essere il più possibile coperti da una sorta di polizza assicurativa e dotarsi di paracadute efficaci contro stagioni sportive disgraziate? Intanto studiando le strategie di altri che sono riusciti a centrare gli obiettivi e poi tenersi carte di riserva per far fronte agli imprevisti. Facile a dirsi, ben più difficile metterlo in pratica. Ma osservando in casa d’altri ci accorgiamo che il 4-3-3 giocato in modo “disinvolto“ raramente porta risultati. Poi realizziamo anche che i giocatori che hanno fatto grandi queste squadre sono per lo più giovani emergenti i quali sono disponibili, molto più dei giocatori già affermati o con carriere “di ritorno“, ad imparare nuove soluzioni proposte dal mister di turno e a metterci quel quid di freschezza e di incoscienza in più rispetto a compagni già professionalmente arrivati e, quindi, più disincantati. Il che non vuol dire che i giovani che hanno “fame“ si impegnino di più dei loro compagni già affermati, ma semplicemente che sono più disponibili ad obbedire ed a pedalare senza discussioni. Seconda considerazione: se si sceglie, in sede di costruzione della squadra, di sposare un unico ed imprescindibile progetto tecnico, può succedere che, se tutto non dovesse girare come un orologio svizzero, non si possa contare su soluzioni tattiche di riserva, utili sia per affrontare una partita in particolare o, magari, anche solo per sparigliare una partita in corso. Per cui se ti trovi in organico undici possibili titolari con altrettanti cloni a disposizione copie conformi (o quasi) all’originale l’allenatore non avrà mai l’opzione di cambiare assetto o modulo con efficacia. Esempio: quando il Nostro Caro Angelo, dopo aver virato dal classico 4-3-3 ad un più sparagnino 4-5-1, con Marras e Boniperti al posto di Fishnaller e Iunco, ha portato più pragmatismo ma adesso si trova senza soluzioni alternative nel caso dovessero marcare visita entrambi gli esterni d’attacco più dotati nella fase di non possesso. E pure il passaggio alla difesa “a tre“ appare avventuroso in quanto sono difficili da individuare in questo collettivo due “quinti“ che diano decenti garanzie di spinta e copertura sufficienti: in questo caso infatti la soluzione Marras schierato da quinto può funzionare una tantum ma non in modo organico. La prossima settimana mi riprometto di parlare della figura del DS in generale e di Magalini in particolare, sempre che una Pro Patria a zero punti dopo nove partite, titolare di uno score imbarazzante e, in più, probabilmente decimata dalle assenze non decida di mostrarsi domenica prossima al Mocca totalmente diversa rispetto ai numeri che ha fin qui inanellato. In cauda venenum. Quella testa di rapa di Penna Dormiente, la quale ci ha sollazzato in passato con la storiella dell’esterno largo (che in realtà sarebbe un giocatore che si scalda a bordo campo durante il gioco ma che per questa scienziata si tratterebbe di un giocatore che entra poco “dentro” il campo), oppure con la panzana del “giocatore dotato di gambe“ che non è, come tutti pensano dopo aver letto questa minchiata, un calciatore amputato bensì “dotato di gamba“, cioè di capacità di corsa e potenza particolare, ne ha scritta un’altra delle sue parlando della partita disputata a Cittadella. Infatti su un pezzo che penso sia destinato ad entrare nella storia delle “cagate pazzesche“ di Fantozzi si legge che in Veneto Mezavilla è stato usato dal Mister anche come “schermo“ per le ripartenze di Chiaretti. La figura calcistica dello “schermo“ invero sarebbe un’altra cosa e si riferirebbe al compito di uno o più giocatori volto ad intercettare la palla destinata ad un certo avversario attraverso il posizionamento ideale rispetto alle traiettorie di passaggio dei rifornimenti dei compagni. L’espressione “schermare un giocatore“ è stata usata da mister Scienza in sala stampa dopo il pareggino contro la Cremonese e il Grande Capo adesso la ripete come un pappagallo confondendo “schermare“ con, più semplicemente, “marcare in prima battuta“. Ma tranquilla Penna Catarifrangente, la tua ignoranza calcistica, pari solo alla tua protervia, è crassa al punto che questo per te è niente rispetto alle sciocchezze che dici quando parli di calcio.
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