Quasi cinquant’anni fa (accidenti come passa il tempo!) il bravissimo e sempre rimpianto sindaco di Novi, Armando Pagella, mi mandò a chiamare (allora mi occupavo a tempo pieno di problemi d’ambiente) poichè una casalinga inferocita ed urlante si era precipitata nel suo ufficio, superando chi attendeva di essere ricevuto, con in mano un bicchiere. Nel bicchiere nuotava allegro un piccolo verme. E su questo niente da dire. Se non che era uscito dal rubinetto dell’acqua potabile. E la signora che voleva bere non aveva gradito. “Fai quel che vuoi, ma risolvi il problema prima che le casalinghe di Novi mi facciano a pezzi”. Mi disse il sindaco. Risolverlo fu facilissimo. Il verme era un tubifex che poteva vivere solo in acque di palude e non in quelle potabili. Quindi il gestore dell’acquedotto aveva fatto il furbo e distribuito come potabili le acque dei laghi della Lavagnina che avrebbero dovuto servire solo per il raffreddamento dell’ Italsider. E già che c’ero consigliai ai Sindaco di fare eseguire le analisi delle acque dello Scrivia. Nelle acque, come avevo intuito, c’era di tutto poiché le industrie e i Comuni lungo il suo corso vi versavano direttamente acque di scarico industriali e fognarie. Per risolvere il problema, una volta per tutte, progettai l’impianto di depurazione collettiva degli interi scarichi in Scrivia nel settore piemontese poi realizzato e tuttora in funzione. Poi me ne andai da Novi e prima di andarmene consigliai al Sindaco di fare approvvigionare l’acquedotto con acque di profondità e non con quelle di subalveo del fiume, come allora avveniva e tuttora sta avvenendo. Capire il problema delle acque Scrivia è molto facile. Basta guardare il greto del fiume che è più largo di quello del Po. Il che vuol dire che il fiume ha un andamento più che torrentizio. Di fronte ad una portata del mese di Agosto di meno di 1 metro cubo al secondo presenta delle piene fortissime che arrivano a superare i 2000 metri cubi. E questo nonostante lo Scrivia abbia una lunghezza di soli 117,2 chilometri, ma su cui gravita un bacino di 1114 chilometri quadrati, proprio nella zona più piovosa d’Italia, in cui le piogge sono il doppio della media nazionale arrivando a 2000 millimetri all’anno. Il vero problema dello Scrivia non è quindi la portata massima bensì la portata minima estiva tant’è vero che nel suo corso terminale l’acqua di superficie sparisce del tutto. Quando si utilizza l’acqua di un bacino importante come quello dello Scrivia occorre averne sotto controllo l’intera politica delle acque. Ad esempio è stato un errore gravissimo concedere ai genovesi di sbarrare il Busalletto, fondamentale affluente dello Scrivia, per portarne le acque a Genova. Come è noto gli acquedotti genovesi, che sono tutto un buco per mancanza di investimenti, perdono il 40-50% delle acque durante la distribuzione. Bisognerebbe perciò consigliare ai genovesi di riparare i buchi dell’ acquedotto anziché venire a sottrarre acque Scrivia indispensabili durante le secche estive. Sarebbe pure assai utile creare dei bacini lungo il corso di fiumi come il Borbera, cosa facilissima da farsi con un minimo di spesa visto che il suo corso in certi punti è largo pochi metri tra rocce a picco. In altre parole, la politica dell’acqua deve essere gestita da geologi e non da funzionari di partito, un po’ troppo furbetti, che altro non aspettano altro che gli acquedotti pubblici siano riprivatizzati in nome di personali politiche di rapina.
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