Trieste (Andrea Guenna) – È l’ultima frontiera del femminismo quella del progetto realizzato dall’associazione culturale Laby che ha visto la luce nel 2013 con una prima edizione sperimentale cofinanziata dalla Regione Friuli già presieduta da Deborah Serracchiani (Pd) che ha coinvolto un asilo per ogni provincia e oggi, 2015, vede l’adesione di 70 maestre. Si chiama “Il Gioco del rispetto” e si compone di un kit ludico-didattico, i cui contenuti sono stati curati da Daniela Paci, insegnante della scuola dell’infanzia, e Lucia Beltramini, psicologa. Entrambe si occupano da anni di progetti di ricerca e di formazione sul tema della violenza contro le donne. Il progetto si avvale inoltre del contributo di Benedetta Gargiulo e di Konstantina Mavroidakos, che ne hanno curato la parte grafica e creativa. Sono tutte donne che invitano i maschietti a vestirsi da bambina fin dalla più tenera età per insegnare loro ad essere un po’ femmine al fine di favorire il maggior rispetto possibile verso l’altro sesso. Come se nella vita fosse vero che le donne si rispettano a vicenda, mentre è vero il contrario in quanto, da sempre, le peggiori nemiche delle donne sono proprio le donne. Ma tant’è, la castrazione psicologica, loro, col beneplacito della Regione, lo portano avanti già dall’asilo scatenando le proteste, condivisibili, dei genitori. “Non è vero che i genitori non erano a conoscenza del progetto – dichiara Fabiana Martini, vicesindaco con delega alle Pari opportunità – essendo parte di una proposta di adesione arrivata dopo l’approvazione del Pof (Piano per l’offerta formativa, n.d.r.), per cui c’è stata l’affissione di un avviso sulla formazione avviata e sul gioco all’albo genitori, e c’è stata anche la messa in visione del kit alle famiglie”. Il 4 marzo scorso è stato convocato sull’argomento un collegio docenti mentre mercoledì 11 marzo è stata organizzata una riunione plenaria dei genitori. Insomma, mentre i politici sono intenti a studiare leggi per parificare il matrimonio tra un uomo ed una donna a quelli fra due donne o fra due uomini, all’asilo si invertono i ruoli. Le bambine fanno i maschietti e i maschietti si trasformano in bambine. Il kit didattico include anche delle figurine tipo Memory che i bambini devono abbinare. C’è l’immagine del calciatore da affiancare a quella della calciatrice, l’idraulico e l’idraulica. “L’obiettivo – continua Martini – è quello di far comprendere come le differenze fisiche tra maschietti e femminucce non devono tradursi in stereotipi sociali. E non devono avere peso nel lavoro, nella vita, nelle aspettative e nelle ambizioni”.
Il che, in soldoni, significa che il pene e la vulva non fanno differenza. E che il patrimonio genetico, che è immutabile, non conta. La parola d’ordine è quella di andare oltre gli odiosi e fascistoidi stereotipi sociali. Invece di valorizzare le differenze nella loro complementarietà come vuole la natura, si fa un gran pasticcio dove i ruoli si confondono e per il quale non si sa dove si va a finire.
Ci viene da pensare che forse, arrivati a questo punto, l’Islam sia un bene, in quanto rappresentante di una società ordinata, come l’ha voluta Dio, dove i ruoli sono ben distinti e diversi a seconda che si sia maschi o femmine.
Forse, davanti a tutta questa confusione un po’ d’ordine sarebbe auspicabile e, se l’Islam lo porta, ben venga il califfo.
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