Alessandria (g.b.) – La politica che favorisce la nascita di quartieri serviti da impianti di teleriscaldamento sembra prendere piede in città. Presto ci sarà un secondo quartiere, a nord, che utilizzerà questo sistema, dopo quello del Cristo. Il teleriscaldamento è noto, e usato con soddisfazione nei Paesi Nordici da oltre un secolo, tanto da permettere a qualche città russa di avere piscine scoperte con acqua calda anche d’inverno. Quanto più lungo è l’inverno, tanto maggiore è la convenienza di usare un sistema centralizzato di generazione di calore. Oggi il teleriscaldamento, se già non esista, è raccomandabile soprattutto in quei luoghi dove il traffico stradale non è intenso e quindi c’è tempo e spazio per installare una buona rete di distribuzione di acqua calda a una certa profondità, dove non si risente molto delle variazioni di temperatura in superficie (una cinquantina di metri). Meglio ancora se una fitta rete di cunicoli in profondità è già esistente, grazie alla metropolitana e alle fognature; la profondità delle fibre ottiche o comunque degli acquedotti o gasdotti non è l’ideale, ma è meglio di niente. Per esempio la rete metropolitana di Mosca, con le innumerevoli linee a qualche decina di metri sottoterra, si presta bene ad ospitare le tubazioni del teleriscaldamento che necessitano solo di una discreta coibentazione e di centraline di pompaggio a distanza opportuna per ridare “forza” all’acqua da distribuire, anche se per questa funzione si sfrutti in parte la “legge naturale” secondo la quale il calore tende a risalire verso le zone meno calde. Ogni condominio o edificio (o piscina) gestiranno poi al meglio l’acqua calda ricevuta, ma esattamente nel modo in cui la gestirebbero se provenisse da una caldaia nello scantinato o da una piccola caldaia nel singolo appartamento. Perciò tutti gli eventuali svantaggi dell’impianto di teleriscaldamento stanno nella sorgente di calore, in particolare nella sua efficienza. A Larderello in Toscana come in Islanda l’acqua sbuca dal terreno a temperature superiori a 70°C e non ci sarebbe da fare altro che infilarla in appositi tubi (coibentati, come sempre): l’efficienza in tali casi è quasi del 100%. Ma ad Alessandria non è così per cui si usa la soluzione peggiore che è quella di scaldare l’acqua (che si presuppone sia di facile accesso) in semplici bruciatori, siano essi di immondizie o di petrolio (o di idrogeno). Infatti l’acqua che scorre nella rete del teleriscaldamento deve essere liquida e non gassosa (vapore) perché occupa molto meno spazio e trasferisce molto meglio il calore, mentre qualunque bruciatore fa evaporare l’acqua e prima di poterla inserire nella rete si sprecherebbe gran parte del vapore nell’atmosfera (con altri inconvenienti ambientali). Per questo motivo la soluzione ideale per il teleriscaldamento è sempre l’utilizzo del vapore generato inizialmente (tipicamente in una turbina termoelettrica, piccola o grande che sia; ma il vapore potrebbe avere altre destinazioni industriali) e il recupero dell’acqua a 100°C all’uscita della turbina per immetterla nella rete. Si tenga conto che il rendimento termico delle migliori turbine è circa del 40% (che è praticamente un livello insuperabile, cioè non molto migliorabile) e quindi resta il 60% dell’energia generata dalla combustione per l’utilizzo in teleriscaldamento. È del tutto evidente che bruciare metano per un impianto di queste dimensioni solo per scaldare l’acqua è molto inefficiente e semplicistico, tanto che la “comunità” non ne trarrebbe vantaggio e risentirebbe delle future crisi energetiche relative agli idrocarburi “tradizionali”. Altro sarebbe produrre metano da una filiera tutta nazionale, ma anche in questo caso si cadrebbe nel tranello delle biomasse che sono il cancro dell’agricoltura. Poi c’è un’altra osservazione da fare in quanto non si capisce perché si preferisca acquistare all’estero un impianto nuovo, mentre sarebbe meglio progettarlo in casa copiando uno dei tanti impianti italiani che sono eccellenti, col vantaggio che si risparmierebbero un sacco di soldi.
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