NIENTE DI NUOVO SOTTO IL SOLE
Gli articoli precedenti hanno descritto gli aspetti tecnici, gli impatti igienici e ambientali, le implicazioni economiche di un gran numero di cosiddette “fonti energetiche”, con l’intento di spiegare che, alla luce della fisica moderna (ma anche di quella “antica”) non trattasi tanto di “fonti”, cioè un sorta di botti da cui si spilla l’energia, quanto di accorgimenti per sfruttare (al meglio) le occasioni che l’energia esistente nell’Universo dall’istante del Big Bang offre a chi sappia individuarla. Si è affermato che “tutto” l’Universo è energia, in costante lentissimo degrado e quindi ancora abbondantemente utilizzabile (dopo i presunti 5 miliardi di anni dal presunto Big-Bang) per la conservazione delle specie viventi almeno sulla Terra. Si è affermato che dall’inizio del XX secolo non si è più scoperto un modo nuovo per utilizzare l’energia, ma anche che, nonostante gli allarmi e le crisi, non esiste e non è mai esistita una vera carenza di risorse, bensì un eventuale utilizzo inefficiente. L’incremento demografico e la crescita dei consumi per aumentare il benessere (dell’Umanità) sono preoccupanti in certi periodi della Storia, ma solo perché le leggi dell’Economia, e non della Fisica, impediscono di investire nella ricerca di nuove tecnologie capaci di affiancarsi o sostituire quelle “vecchie”. I frammenti di storia dell’uso dell’energia permettono di classificare le sue manifestazioni in tre classi: quella primordiale puramente meccanica, di cui fanno parte anche le cadute d’acqua e i venti, sostenuta fortunatamente quasi subito da quella chimica (combustione=fuoco), ma anche dall’illusione dell’idrogeno e, oggi, del fotovoltaico; e infine quella tuttora un po’ anacronistica (perché sviluppatasi prematuramente per esigenze belliche) della trasmutazione nucleare. Si auspicano scoperte di tecnologie nuove, che, proprio perché nuove non hanno ancora un nome, ma che stiano in una posizione mediana tra le vivaci combustioni e le assai potenti trasformazioni dirette della materia in energia, secondo le sensazionali intuizioni di Einstein e di Dirac all’inizio del XX secolo, e di Fermi, sommo fisico e ingegnere, prima della seconda guerra mondiale.
IL DIFETTO DI MASSA
Con l’aiuto di Einstein, cercheremo di descrivere il fenomeno dello sviluppo di energia da trasmutazione del nucleo atomico in un modo che il grande pubblico non ha mai occasione di considerare, ma che è perfettamente corretto, e sperimentalmente provato, secondo i vigenti modelli matematici della Fisica: questo approccio ha il vantaggio di vedere la fissione e la fusione nucleare (fredda o calda) come un unico fenomeno fisico, che presenta difficoltà differenti in applicazioni differenti. La base della descrizione sta nel concetto di “difetto di massa”, che è una sfortunata traduzione dall’inglese e non si riferisce a nessun malvagio comportamento della “massa”, ma semplicemente alla sua (piccola) inferiorità rispetto a una certa quantità (“naturale”) di materia presa come riferimento: tale inferiorità, quando si sia verificata durane un fenomeno fisico (chimico o nucleare) si calcola come la quantità di materia che si è eventualmente trasformata in energia.
LA TAVOLA DI MENDELEJEV
Ripassiamo prima rapidamente ciò che si spiega nelle scuole non inquinate dalla superstizione Verde: la Fisica moderna si basa su un modello-giocattolo che immagina la vecchia molecola di Anassagora (V sec a.C.) come formata da atomi di vario tipo (ipotizzati dal contemporaneo Democrito): se ne contano una novantina di tipi nella Natura Terrestre (92, per l’esattezza), e altri, tutti più pesanti, molto instabili, se ne possono creare artificialmente (il Centurio, cioè il numero 100 della serie, è da tempo sorpassato). Essi sono formati da tre particelle fondamentali, in quantità e combinazioni varie, che ne determinano il “tipo”, cioè le proprietà chimico-fisiche: il protone e il neutrone, quasi gemelli, e detti, nell’insieme, “nucleoni”, e il 2000 volte più piccolo elettrone. Il centinaio di elementi è denominato e numerato in base al numero di protoni che ciascuno contiene. In ciascun elemento ad ogni protone, per neutralizzarne la carica elettrica, è associato uno e un solo elettrone, mentre il numero di neutroni affiancati ai protoni è diverso. L’elenco degli elementi si chiama Tavola di Mendelejev (dal nome del geniale chimico russo che prima si preoccupò di definire la gradazione alcoolica della vodka autentica). Il primo elemento della lista è il famoso Idrogeno (che quindi ha un solo protone e quasi mai un neutrone), il secondo elemento è l’Elio, un gas “perfetto”, che ha due protoni e quasi sempre anche due neutroni, il terzo è il Litio, con tre protoni e tre o più neutroni, il quarto è il Berillio, il quinto è il Boro e così via, fino all’Uranio che è il 92esimo, ha circa 140 neutroni e è l’ultimo dei “naturali”. La posizione dell’elemento nella lista viene chiamata Numero Atomico (= quantità di protoni); la somma dei protoni e dei neutroni di un dato elemento si chiama Peso Atomico (ma è un numero, non una misura in grammi). Il numero di neutroni è (quasi) sempre uguale o superiore a quello dei protoni, tanto più quanto l’elemento è “pesante”, ed è (quasi) sempre leggermente variabile per un dato elemento: elementi con lo stesso numero atomico ma diverso peso atomico si chiamano Isotopi (di quel dato elemento) e, a parte il peso e la stabilità (radioattività eventuale), possiedono identiche proprietà chimico-fisiche. Ogni blocco di elementi di un dato tipo è dunque una miscela di isotopi e come Peso Atomico si fornisce quindi la media più comunemente osservata dei pesi atomici; (anche) per questo il Peso Atomico non è un numero intero. La maggior parte degli Elementi (cioè i loro vari isotopi) si combinano fra loro e con altri Elementi in base a certe proprietà elettro-chimiche e le combinazioni di elementi si chiamano Molecole: l’Acqua è una molecola H2O con due elementi Idrogeno e uno Ossigeno legati (elettricamente) insieme, il Metano CH4 è formato da un elemento Carbonio e quattro elementi Idrogeno, e così via. I Sali, per esempio, sono tutti molecole, essendo la combinazione, con legame elettrico, fra elementi di tipo diverso (di cui uno in particolare è un metallo). Diamo un’idea del microcosmo di cui si parla: neutrone e protone hanno dimensioni lineari di circa un miliardesimo di micron e un peso, “a riposo”, di circa un milionesimo di un miliardesimo di un miliardesimo di grammo. Tali particelle si disegnano sempre come palline colorate, ma potrebbero pure essere cubetti che il nostro discorso non cambierebbe e in alcuni casi sarebbe più chiaro. Finiamo col numero di Avogadro: 6,022×1023, che è il numero di atomi contenuto in una “mole” di un certo elemento; e allora che cos’è una mole? E’ la quantità di grammi pari al peso atomico di un elemento: si è scelto come riferimento il Carbonio 12 (12C) che ha un numero basso di isotopi. Allora una mole di Idrogeno pesa poco più di un grammo, una di Carbonio pesa 12 grammi, una di Ossigeno circa 16, il Ferro circa 56, il Piombo 207, l’Uranio 238. Il concetto di “mole” si applica anche alle combinazioni di elementi e quindi per esempio una mole Idrogeno molecolare (H2) pesa 2 grammi, una mole di Acqua pesa circa 18 grammi (i due dell’Idrogeno e i 16 dell’Ossigeno), una di Metano (CH4) pesa 16 g. E’ davvero straordinario pensare che qualunque mole contenga una quantità di elementi pari al numero di Avogadro N e calcolare in chimica per mezzo delle moli offre due notevoli vantaggi: evitare i numeri piccolissimi delle dimensioni atomiche e trasformare agevolmente le formule stechiometriche (espressioni di reazioni chimiche) in quantità di peso del Sistema Metrico Internazionale (grammi).
GLI ELIONI
Dopo questo indispensabile microtrattato di chimica nucleare, entriamo nel merito della trasmutazione nucleare. Si è notata una sicura preferenza delle particelle subnucleari a disporsi in coppie, “quartetti”, “ottetti”, situazioni che rendono i nuclei atomici risultanti più stabili (il che equivale a “più leggeri”) rispetto a quelli con quantità dispari di componenti con carica elettrica. Si è visto che l’Elio, fatto di due protoni e due neutroni (gli isotopi di Elio con un neutrone sono rarissimi sulla Terra, e meno sulla Luna) è, al contrario dell’Idrogeno, un gas “inattaccabile” monoatomico, liquefa a meno di due gradi sopra lo zero assoluto (il che è sintomo di semi-immobilità), non si combina (= non brucia) ed ha un nucleo compattissimo, il cui peso è proprio la somma dei quattro “nucleoni” di cui è composto. Non dimentichiamo, per completezza, che la radiazione Alfa, la meno penetrante, ma non per questo la meno nociva, non è fatta d’altro che di nuclei di Elio privati dei loro due elettroni (si dice allora che sono “ioni di Elio” o “elioni”), il che conferma che anche nella disgregazione di nuclei più pesanti i nucleoni, forse i più interni, tendono a restare in contatto fra loro a quattro a quattro, il che significa anche che il “materiale collante” che così risparmiano si trasforma in energia cinetica della particella Alfa stessa e degli altri frammenti di nucleo coinvolti nella disgregazione. Gli altri elementi diversi dall’Elio, a partire dal Litio (che è il terzo) e dall’Idrogeno stesso, presentano certe instabilità, dovute a condizioni “dispari”, che si manifestano con distacchi di subparticelle, “aggressioni” di particelle vicine e soprattutto aumenti di peso, rispetto a quello nominale, proprio come se necessitassero di un materiale collante (e pesante) proprio per contrastare queste instabilità. L’idrogeno stesso, che pure è un protone con carica elettrica neutralizzata dal suo elettrone, “vive” in molecola biatomica, si attacca elettricamente (chimicamente) a qualunque elemento gli si avvicini, non disdegna un isotopo o due (il deuterio e il trizio), salvo sbarazzarsi alla prima occasione dei neutroni in eccedenza, e pare contentissimo di associarsi a livello nucleare con un altro protone per formare il tranquillissimo e stabile Elio, ciò che come tutti sanno avviene in particolare nelle stelle sotto l’effetto delle vibrazioni e urti imposti da milioni di gradi di temperatura. E, come si è detto, l’Elio ha il peso minimo fra tutti i pesi che si potrebbero ottenere combinando insieme quattro nucleoni qualsiasi: che significa ciò? Che in un’ipotetica compressione di nucleoni per formare Elio si risparmia alla fine tanto di quel peso che, calcolato con la famosa formula E=mc2, corrisponde a quell’emissione di energia sognata da tutti quelli che da oltre mezzo secolo e per altrettanto tempo in futuro inseguiranno la “fusione nucleare” calda o fredda che sia. La chiave della generazione di energia da trasmutazione nucleare è dunque questa: quando nella compattazione di nuclei piccoli oppure nella disgregazione di nuclei atomici grandi si ottengono pesi risultanti inferiori a quelli degli ingredienti iniziali, la differenza (o “difetto”, come si è detto) di massa corrisponde a una più o meno grande trasformazione in energia secondo l’infinitamente citata formula di Einstein, la quale, con quella velocità della luce “c” al quadrato (!) rende immediatamente l’idea della resa energetica di un pezzo di materia che si trasformi completamente in radiazione, ovvero energia. Si è detto che la compattazione a formare Elio è quella che rende di più, e quindi non ci si venga a parlare di “fusione nucleare senza radiazioni nocive”: sono solo radiazioni a effetto più rapido e immediato, ma spaventosamente e tremendamente “nocive”, come hanno dimostrato le Bombe all’Idrogeno (ormai dimenticate dagli ambientalisti-pacifisti truffatori) rispetto alle bombe dette “Atomiche”, che al confronto sono petardi.
CERCARE LA DISGREGAZIONE DI NUCLEI CHE ASSICURI UN BUON “DIFETTO DI MASSA”
Può sembrare così che, nella foga di trattare il fenomeno della fusione nucleare, che è indubbiamente il più “energetico” e ingegneristicamente impegnativo, abbia dimenticato quello della fissione, non avendo mai citato fin qui il “reattore nucleare”, la “reazione a catena”, le micidiali radiazioni, la “sindrome cinese”, le assillanti “scorie”, ma questi aspetti, che saranno oggetto di un prossimo articolo, sono solo le conseguenze delle applicazioni industriali del fenomeno vero e proprio della fissione (dell’Uranio), che ho chiamato “disgregazione di nuclei pesanti”. Anche per la disgregazione resta valido il concetto del “difetto di massa”: se fossimo capaci, e un giorno lo saremo, di bombardare e spezzare un nucleo di Ferro, per esempio, otterremmo un certo numero di nuclei più piccoli: alcuni sarebbero raggi alfa, i compatti nuclei di Elio sopra citati, gli altri sarebbero teoricamente tutti i possibili nuclei più leggeri del Ferro, dall’Idrogeno in su. Sommando i vari pezzetti noteremmo due cose: il numero di protoni complessivo potrebbe essere superiore a quello del Ferro (26), perché ho omesso di dire che in una frantumazione molto severa alcuni neutroni casualmente rimasti liberi “decadono”, essendo molto instabili quando rimasti soli, in un protone, un elettrone e un neutrino; la somma dei pesi può essere maggiore o minore di quella del Ferro iniziale: se è maggiore non c’è “difetto di massa” e l’operazione fatta mi è solo “costata” dell’energia, se è minore invece ho la fortuna di avere “liberato” energia. È chiaro che il controllo di un fenomeno del genere è oggi impensabile, specialmente perché nessun “ricercatore” si è provato a farlo da 75 anni, ma la prospettiva di nuove forme di energia potrebbe essere proprio questa: cercare quella disgregazione di nuclei, possibilmente abbondanti in natura, che mi assicuri mediamente un buon “difetto di massa”, cioè una trasformazione di massa in energia che mi fornisca più energia di quanta non mi sia servita per provocare la reazione. Non è detto che fra quei fenomeni misteriosi chiamati sbrigativamente “fusione fredda” (e perciò giustamente disprezzati come opera di ciarlatani) non ci sia anche un caso del genere: del resto non dimentichiamo che Fermi e i suoi ragazzi di via Panisperna conducevano migliaia di esperimenti credendo di creare “elementi transuranici” (in sostanza pensavano di riuscire ad aggiungere uno o più protoni all’uranio per creare artificialmente elementi con numero atomico superiore a 92, cioè non conosciuti in natura), e invece spaccavano l’uranio in due o più parti, eseguendo inconsapevolmente la fissione dell’Uranio. Solo la profonda conoscenza di pesi e energie (e delle radiazioni caratteristiche) dei componenti in gioco permise a Fermi di intuire che non stava creando materiali più pesanti dell’Uranio (una sorta di “fusione” fra elementi pesanti), ma al contrario stava spezzettando l’Uranio e ne ricavava anche un sovrappiù (molto abbondante) di energia. Con i computer attuali si potrebbero fare simulazioni in breve tempo su tutti i materiali di un certo peso per determinare su quali di essi sia energeticamente conveniente la fissione (che, al contrario della fusione, non richiede milioni di gradi).
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