Torino – “Schmidheiny sapeva tutto, ma mise in atto un’opera di consapevole disinformazione”. Questa in sostanza la motivazione della sentenza di appello depositata ieri. In circa 800 pagine ci sono ampi riferimenti alla consapevolezza del magnate svizzero laddove si legge fra l’altro: “Dobbiamo renderci conto di una cosa: noi possiamo, anzi dobbiamo convivere con questo problema”, sono parole di Stephan Schmidheiny che risultano dalla relazione finale del convegno di Neuss, convocato da Schmidheiny a giugno 1976. Il padrone di Eternit sapeva tutto: che l’amianto era causa non solo di asbestosi, ma anche di tumore al polmone e di mesotelioma. Invece raccontò menzogne: “L’opera di disinformazione da lui consapevolmente promossa” ha fatto sì che si continuasse a lavorare la fibra per altri dieci anni causando il disastro ambientale che ha inghiottito migliaia di vittime e per il quale la Corte d’Appello (Alberto Oggé, Elisabetta Barbero e Flavia Nasi), modificando parzialmente il verdetto di primo grado, il 3 giugno lo ha condannato a 18 anni di carcere (rispetto ai 16 inflitti dal Tribunale a febbraio 2012). E non diversa, si legge da un primo sfoglio della monumentale relazione, sarebbe stata la conclusione nei confronti del belga Louis de Cartier, in primo grado condannato alla stessa pena di Schmidheiny morto nel mese di giugno.
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