da MOVIMENTO LIBERALE MILANO
Egregio direttore,
sembra proprio che in Italia ci sia ancora chi confonde la guerra civile 1943 – 45 con una più nobile Guerra di Liberazione. Come chi vuole cambiare la storia. E lo vuole fare alla maniera dei trinariciuti che continuano a sbraitare – per esempio – che le foibe le hanno volute i fascisti. Sono quelli per cui non hanno vinto gli italiani liberi e sinceramente democratici che si sono battuti coraggiosamente e lealmente contro il nazifascismo, ma i comunisti dei Gap che hanno combattuto vigliaccamente per Tito e Togliatti al servizio di Stalin. A Roma, città che fino alla strage di Via Rasella (su cui la verità non è ancora venuta a galla) fascisti e romani convivevano benissimo, non era mai successo niente e forse proprio per questo i gappisti han messo quella bomba facendo saltare per aria trentatré militari altoatesini in divisa tedesca. Ma ora arriva la giunta Marino e la storia cambia in quanto venerdì al Corsera il vice sindaco Luigi Nieri ha dichiarato: “Roma è medaglia d’oro della resistenza, ha subito il fascismo e il nazismo, la deportazione del ghetto. È quella la nostra memoria. Altre città ricorderanno le foibe”. Insomma nella Capitale non ci sarà più nessun ricordo “specifico” da parte del Comune degli eccidi perpetrati per motivi etnici e politici, ai danni della popolazione italiana della Venezia Giulia e della Dalmazia durante la seconda guerra mondiale e nell’immediato dopoguerra. Così, visto che certi trinariciuti dimenticano facilmente la storia che a loro non conviene ricordare, gliela ricordiamo noi liberali giacobini che la storia la rispettiamo. Ma non parliamo di Foibe, troppo facile, perché preferiamo ricordare un altro eccidio compiuto dai comunisti, quello sulle rive dell’Adriatico a Fiume.
Per tre giorni e tre notti, a partire da 3 maggio 1945, le truppe comuniste del maresciallo Tito si scatenarono con inaudita violenza contro gli italiani, non fascisti sia chiaro, I-TA-LIA-NI anche aderenti al CLN. A Campo di Marte, a Cosala, a Tersatto, lungo le banchine del porto, in piazza Oberdan, in viale Italia, i cadaveri s’ammucchiarono e non ebbero sepoltura. Nelle carceri cittadine e negli stanzoni della vecchia Questura, nelle scuole di piazza Cambieri, centinaia di imprigionati attendevano di conoscere la propria sorte, senza che nessuno si preoccupasse di coprire le urla degli interrogati negli uffici di Polizia, adibiti a camere di tortura. Altre centinaia di uomini e donne, d’ogni ceto e d’ogni età, svanirono semplicemente nel nulla. Per sempre. Furono i “desaparecidos”.
Quelli da mettere subito a tacere furono individuati negli autonomisti, cioè coloro che sognavano uno Stato libero. Già nella notte fra il 3 e il 4 maggio furono trucidati Matteo Biasich e Giuseppe Sincich, personaggi di primo piano del vecchio movimento zanelliano, già membri della Costituente fiumana del 1921. Negli stessi giorni e poi ancora nei mesi successivi trovarono la morte a Fiume anche molti esponenti del CLN ed altri membri della Resistenza italiana, fra cui il noto antifascista Angelo Adam, mazziniano, reduce dal confino di Ventotene e dal lager nazista di Dachau, secondo una linea di condotta che trovò riscontro anche a Trieste ed a Gorizia, dove a venir presi di mira dalla Polizia politica jugoslava, furono in particolare gli uomini del Comitato di liberazione nazionale. La scelta appare giustificata dal fatto che sul piano politico il CLN aveva la riconosciuta rappresentanza degli antifascisti italiani. Pertanto, per i comunisti appariva come l’avversario più pericoloso, sia perché potenzialmente in grado di diventare il punto di riferimento della popolazione di sentimenti italiani, che per il timore di un eventuale accoglimento della sua legittimità internazionale.
La furia omicida dei comunisti si scatenò con ferocia anche nei confronti degli esponenti dell’italianità cittadina. Furono subito uccisi i due senatori di Fiume, Riccardo Gigante e Icilio Bacci, che non si erano mai macchiati di crimini, e centinaia di uomini e donne, di ogni ceto e di ogni età, morirono semplicemente per il solo fatto di essere italiani. Oltre cinquecento fiumani furono impiccati, fucilati, strangolati, affogati. Altri incarcerati. Dei deportati non si seppe più nulla. Cercarono subito gli ex legionari dannunziani, gli irredentisti della prima guerra mondiale, i mutilati, gli ufficiali, i decorati e gli ex combattenti. Adolfo Landriani era il custode del giardino di piazza Verdi. Non era fiumano, ma era venuto a Fiume con gli Arditi e per la sua piccola statura tutti lo chiamavano “maresciallino”. Lo chiusero in una cella e gli saltarono addosso in quattro o cinque, imponendogli di gridare con loro “Viva la Jugoslavia!”. Lo sollevarono, come un bambolotto di pezza, poi lo sbatterono contro il soffitto, più volte, con selvaggia violenza e lui ogni volta gridava: “Viva l’Italia! Viva l’Italia!” sempre più fioco, sempre più spento, finché il grido non divenne un bisbiglio, finché la bocca colma di sangue non gli si chiuse per sempre. Qualcuno morì solo perché aveva ammainato in piazza Dante la bandiera jugoslava. Il 16 ottobre del 1945, un ragazzo, Giuseppe Librio, diede tutti i suoi diciott’anni, pur di togliere il simbolo di una conquista dolorosa. Lo trovarono il giorno dopo, tra le rovine del molo Stocco, ucciso con diversi colpi di pistola. Nel carcere di Fiume, il 9 ottobre 1945, Stefano Petris – condannato a morte dai comunisti slavi perchè era fiero di essere italiano – lasciò scritto alla moglie (il documento fu ritrovato casualmente mesi dopo e conservato dai parenti): “Non piangere per me. Non mi sono mai sentito così forte come in questa notte di attesa, che è l’ultima della mia vita. Tu sai che io muoio per l’Italia. Siamo migliaia di italiani, gettati nelle Foibe, trucidati e massacrati, deportati in Croazia falciati giornalmente dall’odio, dalla fame, dalle malattie, sgozzati. Aprano gli occhi gli italiani e puntino i loro sguardi verso questa terra istriana che è e sarà italiana. Se il Tricolore d’Italia tornerà, come spero, a sventolare anche sulla mia Cherso, bacialo per me, assieme ai miei figli. Domani mi uccideranno. Non uccideranno il mio spirito, né la mia fede. Andrò alla morte serenamente e come il mio ultimo pensiero sarà rivolto a Dio e a voi, che lascio, così il mio grido, fortissimo, più forte delle raffiche dei mitra, sarà: viva l’Italia!”.
E noi ci uniamo a lui: VIVA L’ITALIA LIBERA, LIBERALE E ANTICOMUNISTA!
Piero Roselli
Movimento Liberale Milano
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