di Paolo Mastrolilli
(inviato a New York per La Stampa)
Dunque esiste. Non ci sono prove di ospiti alieni o dischi volanti, ma la misteriosa Area 51 non è più un mito. Occupa una grande zona del Nevada, vicino al deserto del Mojave, ed è servita a costruire il programma degli aerei spia americani, da cui in seguito sono derivati anche i droni. Lo confermano documenti ufficiali del governo americano, finalmente pubblicati.
Lake, un lago prosciugato che si trovava circa 130 chilometri a nord ovest di Las Vegas. Una zona nota sulle cartine geografiche come Area 51. La struttura era stata praticamente dimenticata fino all’aprile del 1955, quando l’amministrazione Eisenhower aveva avuto bisogno di un centro per fare i test dei nuovi aerei spia, messi in campo contro l’Urss grazie al Project Aquatone. Gli uomini della Cia e del Pentagono avevano sorvolato questo pezzo di terra arida nel mezzo del nulla, decidendo subito che faceva per loro. La base era stata allargata da un rettangolo di 9,7 chilometri per 16, fino ad uno spazio di 37 chilometri per 40, e il 24 luglio aveva ricevuto il primo prototipo del Lockheed U-2. In pochi mesi erano state costruite case, scuole, cinema e campi da baseball, per ospitare i militari trasferiti in quello che i superiori avevano soprannominato «Paradise Ranch».
L’Area 51 però aveva risposto bene ai suoi scopi, e quindi era stata scelta per ospitare anche i programmi successivi, quello per l’A-12 Oxcart e il D-21 «Tagboard», aereo spia senza pilota diventato essenziale dopo l’abbattimento sui cieli sovietici dell’U-2 pilotato da Gary Powers. In altre parole, i precursori dei droni che oggi dominano la guerra al terrorismo.
Quel rettangolo di deserto era diventato la sede degli esperimenti più avanzati della Cia e l’Air Force, e laggiù venivano trasportati anche gli aerei catturati al nemico per studiarli. Come il MiG-21 del capitano iracheno Munir Redfa, ad esempio, scappato in Israele nel 1966. Nel dicembre del 1977, poi, all’Area 51 era arrivato per i test anche il primo F-117 Nighthawk, il caccia della nuova generazione invisibile ai radar.
Era inevitabile che davanti a tanto movimento, e tanta segretezza, si sviluppasse anche il mistero. Poco alla volta, il Nevada meridionale era diventato la regione più frequentata dai dischi volanti, forse perché la gente confondeva i prototipi sperimentati con le navi degli alieni. Così l’Area 51, nell’immaginario collettivo, si era trasformata nella base segreta dove il governo americano teneva prigionieri gli extraterrestri catturati. Non a caso, nel film «Independence Day» l’attacco finale degli americani contro gli invasori spaziali scatta proprio da qui.
La verità però è un’altra, e l’ha finalmente scoperta Jeffrey Richelson, studioso del National Security Archive presso la George Washington University. Nel 2005 Richelson aveva chiesto i documenti della Cia sul programma degli U-2, ma aveva ricevuto una versione censurata. Ora li ha domandati ancora, e stavolta il nome dell’Area 51 non è più cancellato: per qualche ragione ignota, i servizi segreti hanno deciso che non c’è più motivo di tenerlo nascosto. Fine del mistero, dunque. O forse è solo un nuovo stratagemma di finta trasparenza, per nascondere i marziani?
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