di Paola Re
Alessandria – Ho appreso dai mezzi di informazione e dai manifesti affissi nella mia città che ha preso il via la raccolta firme per la petizione “Caprioli… no grazie”, lanciata da CIA e Confagricoltura Alessandria per richiederne la limitazione del numero di questi ungulati. Ho letto il testo del comunicato CIA in cui si parla di seri danni alle colture agricole e al patrimonio boschivo dovuti al loro proliferare, causa anche degli incidenti stradali. A questo si aggiunge che i risarcimenti dei danni vengono erogati in ritardo e, in molti casi, sono inferiori al danno accertato. Si parla di rischio che questa situazione possa provocare l’abbandono dell’attività agricola, con conseguenze negative su economia e territorio. Tutto ciò induce a prendere provvedimenti per il contenimento di cinghiali e caprioli. L’idea si potrebbe anche condividere ma ciò che fa inorridire è che ancora una volta si parli di caccia, come se la caccia sia l’unico mezzo per limitare e contenere il proliferare degli ungulati. Il documento chiede di permettere la caccia sul terreno innevato, di rilasciare autorizzazioni ai conduttori dei fondi agricoli, ai loro coadiuvanti e dipendenti, per abbattere i capi che arrecano danni alle coltivazioni: se questa richiesta fosse accolta, sempre più gente avrebbe la facoltà di uccidere in un più vasto periodo dell’anno.
Nel comunicato della Confagricoltura si parla di necessità di difendere il patrimonio paesaggistico e preservarne l’equilibrio naturale della fauna e della vegetazione. Le parole sono importanti quindi vanno usate nel modo giusto: se si parla di naturale, allora si deve escludere l’intervento dell’uomo (che in questo caso lo fa con le armi!) che trasforma l’equilibrio naturale in artificiale cioè l’esatto contrario. Gli animali mantengono i loro equilibri attraverso meccanismi naturali di autocontrollo: se c’è un essere che sconvolge l’equilibrio della natura e della terra, quell’essere è l’uomo che col suo intervento provoca ancora più sofferenza e morte.
La necessità di dovere “regolarizzare” la fauna con il fucile è una giustificazione fragile: anche i cacciatori, nelle loro riviste di caccia, lo ammettono apertamente dichiarando la vera motivazione cioè la gioia di catturare la preda, il piacere di uccidere e un innato istinto a cacciare che però hanno solo loro, una piccola parte della popolazione. La caccia è un istinto naturale degli animali ma quando se ne appropria l’uomo, al giorno d’oggi, diventa un rito artificiale e crudele che miete migliaia di vittime animali e purtroppo anche umane. Nonostante la maggior parte della popolazione sia contraria, purtroppo è legale, sostenuta soprattutto dalla lobby dei produttori di armi e viene beffardamente decorata di certi aggettivi come sostenibile, ecologica, consapevole. L’unica consapevolezza che bisogna avere è che la caccia è morte e l’idea di uccidere un animale è insostenibile da chiunque difenda i diritti degli animali.
Sono solidale con gli agricoltori che vedono danneggiate le loro colture ma li invito a riflettere e a chiedere alla CIA e alla Confagricoltura di optare per altri metodi: c’è sempre un’alternativa all’uccisione cruenta di un animale. So di interpretare il pensiero di molte persone che come me comprano presso i banchi di frutta e verdura CIA e Confagricoltura e che come me, a causa di questa raccolta firme, non saranno più acquirenti di quei prodotti. Chi è vicino a un tipo di coltura locale, a kilometri zero, biologica, senza pesticidi, solitamente ha una maggiore consapevolezza dei diritti degli animali, considerando questa raccolta di firme un atto ingiusto e moralmente inaccettabile. Se l’agricoltura locale diventa un’istigazione a uccidere, forse non sarà più sostenuta ma boicottata e forse ciò accadrà ai prodotti delle due associazioni.
Diffonderò questo mio dissenso in modo civile invitando chiunque a seguire il mio esempio.
Ogni cosa ha il suo tempo. Il tempo per la caccia è scaduto. (Hubert Weinzirl)
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