“Solo con il terzo valico si rilancia il settore edile”. Nel leggere sui giornali rozze menzogne di tal fatta c’è da offendersi. Vuol dire essere considerati dei cretini per cui va bene qualsiasi storiella. La menzogna, per essere credibile, richiede di essere confezionata con intelligenza e delicata finezza di andreottiana memoria, mentre il costruirla con la nota brutalità tortonese è sempre controproducente e pericoloso. L’illusione di poter ingannare tutti per sempre è lo strumento con cui la Storia, nel suo eterno divenire, toglie di mezzo, inducendoli al suicidio, i potenti divenuti incapaci e superati. Chiunque abbia gli occhi per vedere, e qualche neurone ancora funzionante, si rende conto che il porto di Genova è morto da tempo, ed i traffici al cui smaltimento dovrebbe essere preposto il Terzo Valico, esistono solo nelle ingannevoli parole di chi vorrebbe costruirlo scavando una demenziale galleria lunga ben 54 chilometri tra lo scalo ligure e Novi. Oltre ad essere il tunnel più lungo e costoso al mondo, altri meriti ed utilità non ne presenta nel modo più assoluto. Il fatto che a favore dell’impresa si agitino i vertici degli interi partiti tradizionali con annessi i soliti valletti sindacali al loro seguito, mentre ne è sempre più violentemente contraria la base che li vota, la dice lunga sui nobili motivi che sorreggono questo progetto. Un porto non nasce mai sul nulla ma ha ragione di essere solo quando gravita su un hinterland economico. Il porto di Genova è morto quando sono morti i presupposti economici che generavano i suoi traffici. Nomi un tempo di determinante importanza economica ed industriale come i Cantieri di Sestri, la Fiat, la Pirelli, la Olivetti, la San Giorgio, l’Ansaldo, la Lancia, l’Italsider, la Breda, la Riv, la Montecatini, la Snia, l’Alfa Romeo e le altre mille e mille industrie del loro indotto non esistono più o sono state pesantemente ridimensionate da 20 anni di folle ed autolesionistica politica di deindustrializzazione. Sui loro sedimi sono state fatte deliranti speculazioni edili che, accoppiate ad una politica di bassi salari e di tassazioni crescenti per alimentare gli sprechi, ha finito con lo strozzare il mercato di settore portando al fallimento quegli stessi che l’avevano ideato e voluto. Anche le civili nazioni industriali al di là delle Alpi che un tempo si servivano del porto di Genova, lo hanno abbandonato. Stufe delle furbastrerie levantine, dei ladrocini, delle italiche astuzie e degli ingiustificabili ritardi, hanno bypassato la penisola da ambedue i suoi lati, costruendo in Francia l’efficientissimo porto di Fos Marsiglia ed in Slovenia quello ultramoderno di Capodistria. I politici alessandrini e genovesi, in veste ufficiale, hanno sempre fatto finta che tutto questo non esistesse, negando anche l’evidenza più palese nella speranza di ricavarne personali vantaggi. E così, coperto da generale complicità il costo del tunnel, già di per sè demenziale fin dall’origine, partito da 6 miliardi e 300 milioni di euro è già lievitato a 10 miliardi. E non certo si arresterà a questi livelli vista la squisita abilità di maggiorare i costi in corso d’opera delle ditte interessate al suo scavo. In realtà i politici delle regioni interessate conoscono assai meglio di noi queste vicende ed in privato tra di loro ne parlano da tempo. Alcuni con comprensibile preoccupazione vista l’emorragia di ben 10 milioni di voti subita dai due principali partiti nel corso di queste ultime elezioni, altri perchè intimoriti dalla continua crescita di una rabbia generalizzata che nessun appello alla moderazione sarà ben presto in grado di contenere. Più d’uno di loro manifesta crescente timore di subire ingiurie, o peggio quando esce di casa. Che l’Italia sia allo sfascio oggi non viene neppure più negato da coloro che per incosciente ottimismo erano soliti vedere il bicchiere unicamente mezzo pieno. Di nascosto ,per tirare avanti alla meno peggio e continuare a sostenere inutili sprechi, come il Terzo Valico, lo Stato italiano ha persino venduto in silenzio la maggioranza delle azioni dell’ENI perdendone il controllo. Esattamente come fece Mussolini che svendette agli inglesi i ricchissimi pozzi petroliferi in Iraq, allora di proprietà italiana, per pagare l’inutile e costosa campagna di invasione dell’Etiopia, un povero e bellicoso territorio senza valore e per questo scartato dalle potenze coloniali. È proprio vero, passa il tempo ma i lupi nostrani perdono il pelo, ma non il vizio. Come in una maledizione biblica il nostro destino inesorabilmente si ripete essendoci mostrati incapaci di cambiarlo veramente.
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