GLI ENORMI DANNI FATTI ALL’ITALIA DERIVANTI DA MILLE ANNI DI POTERE TEMPORALE DEI PAPI
di Carlo Grossi
(settima puntata)
L’EVOLUZIONE DEI LONGOBARDI
Gregorio era un uomo troppo intelligente e avveduto per peggiorare la situazione dei suoi rapporti coi Longobardi, e nulla ha fatto di concreto per tale iniziativa, ritenendo più importante organizzare spedizioni missionarie in Gran Bretagna per la conversione degli i Anglo-Sassoni al cattolicesimo, del che si è occupato dal 596 fino al 604, anno della sua morte. Dopo di lui hanno avuto luogo alcuni insignificanti papati; e persino un periodo di vacanza pontificia, ma infine la sua avversione per i Longobardi è riesplosa nei Papi successivi, primo dei quali Gregorio III, che ne aveva, non certo casualmente, rievocato il nome, ormai passato alla storia. L’atteggiamento antilongobardo si è quindi radicato nella Curia Romana, assumendo carattere cronico – anticipazione storica di quella, non ancora cessata, delle sfere statali dell’Italia odierna versa Milano e il Nord in genere – ed ha condizionato la politica di numerosi Papi, senza riuscire a interrompere l’espansone territoriale dei Longobardi che, da gente pratica e intelligente, distinguevano tra Religione e Politica, nell’esatta convinzione che le città e i castelli da loro conquistati erano strappati all’Impereratore, loro ormai tradizionale nemico, non al Papa, che per loro, ormai buoni cattolici, era solo il Vescovo di Roma, come tale venerato, ma privo di autorità politica. Essa era ancora viva un centinaio di anni dopo, nonostante che nel frattempo o i Longobardi si fossero notevolmente evoluti ed ingentiliti, portandosi a un livello civile e culturale non inferiore a quello degli altri popoli barbari stanziati nelle Regioni dell’antico Impero Romano d’Occidente, in particolare a quello dei Franchi. La loro rapida evoluzione è stata, naturalmente, dovuta a varie cause e, innanzi tutto, alla loro conversione al cattolicesimo, che aveva fatto scomparire le ultime frange pagane, o per lo meno semipagane, che convivevano alla meglio con l’arianesimo. In secondo luogo la loro evoluzione era dovuta anche alla fusione nella Gallia Cisalpina, dove si erano più densamente stanziati, con la popolazione celtica ivi residente da quasi un millennio, anch’ essa di lontana origine barbarica, ma ormai da secoli latinizzata per lingua, costumi e cultura, tanto che aveva dato alla latinità menti insigni in ogni campo, come il mantovano Virgilio e il veronese Catullo per la poesia, il padovano Tito Livio per la Storia, il comasco Plinio per le scienze naturali, etc. Infine la loro “italianizzazione” si completò con l’adozione della lingua latina, prima come lingua scritta – perché al loro arrivo in Italia erano analfabeti e se hanno voluto cristallizzare il loro assetto amministrativo, giudiziario, etc. con Leggi, Atti, etc., hanno dovuto valersi di essa, come nell’Editto di Rotari, che ne ha codificato il Diritto, come Giustiniano per il Diritto Romano – poi come lingua parlata, naturalmente in forma alquanto barbarica, con l’innesto di termini ed espressioni tipicamente teutoniche, poi trasmesse all’ italiano in cui ancora permangono. La, loro espansione, in effetti, non si è mai interrotta e l’Impero, più forte per mare che per terra, resisteva soprattutto lungo le coste, beninteso solo quelle tirreniche ed adriatiche, essendo quelle liguri già state occupate ed incluse nel Regno dal Re Rotari.
I SUCCESSORI DI GREGORIO MAGNO
Coi Papi, però, i rapporti, se non erano peggiorati, non erano certo migliorati, sempre a causa delle controversie per la loro occupazione di piccole città, paesi e castelli nell’ Italia Centrale, che la Curia riteneva sotto la propria sovranità politica, mentre de jure appartenevano sempre all’Imperatore Romano dell’Impero d’Oriente, del quale gli stessi Pontefici Romani – piacesse o non piacesse – erano sudditi. Dopo cent’anni, in base al Diritto Pubblico d’allora, la situazione dell’Italia e le rispettive pretese su di essa erano ancora come ai tempi di Gregorio Magno, del quale, però, la concezione politica era, in linea di diritto, molto più corretta di quella dei suoi successori, perché, se pur Vescovo di Roma e quindi Sommo Pontefice e Capo della Cristianità Cattolica, si riconosceva sempre suddito dell’Imperatore e, pur paventando il propagarsi dei Longobardi in Italia, non ha mai pensato di ricorrere contro di essi all’aiuto straniero. È quanto invece hanno incoscientemente fatto i suoi successori Gregorio III, Zaccaria, Stefano II e Adriano I, che hanno gettato la maschera e, abbandonato l’Impero, hanno volto lo sguardo di là delle Alpi, alla ricerca di una potenza protettrice più valida trovandola nel vicino popolo dei Franchi. La grave iniziativa ha avuto, come conseguenza, di impedire la costituzione di uno Stato unitario italiano, anzi di distruggere quello che era già stato quasi completamente formato dai Longobardi in circa due terzi d’Italia, il cui consolidamento avrebbe dato luogo allo Stato nazionale, come negli altri paesi del Continente europeo. L’Italia, fatta dai Longobardi, sarebbe stata pur sempre l’Italia, anche se, probabilmente, avrebbe cambiato nome, perché si sarebbe chiamata Lombardia, come la Gallia dei Franchi si è chiamata Francia, ma, il nome, ovviamente, non aveva nessuna importanza, l’importante essendo i benefici che dall’ unità le sarebbero derivati. La chiamata dei Franchi è stata quindi un gravissimo crimine antinazionale, tra l’altro del tutto inutile, perché l’eventuale passaggio di Roma dalla sovranità dell’Imperatore d’Oriente al Re dei Longobardi non avrebbe certo costituito per il Pontefice un impedimento all’esercizio delle sue funzioni apostoliche, come non lo ha costituito, mille anni dopo, il suo passaggio al Regno dell’Italia Risorgimentale, anch’esso realizzato non ostante la proterva ostilità di Papa Pio IX e la scomunica degli usurpatori. Lo osserva, con la consueta acutezza, il già ricordato studioso, ecclesiastico francese, Monsignor Duchesne che, avendo passato una vita a Roma consultando a fondo e interpretando gli Archivi Vaticani e le altre fonti ecclesiastiche, ne ha tratto originali ed esatte deduzioni storiche, al di fuori dei tradizionali pregiudizi convenzionali, non sempre allineate con quelle tradizionalmente adottate dalla Curia Pontificia con la quale ha avuto per esse non poche difficoltà. In una sua intelligente opera sull’ argomento, edita anche in Italia, viene infatti ricordato da quell’insigne studioso che a quell’epoca gli elementi originari ariani e pagani dei Longobardi erano assimilati da un pezzo, perché ormai essi erano oramai cattolici e i loro Re lo avevano dimostrato coi fatti, intervenendo, armi alla mano, in difesa del Papa Gregorio ll quando, per la questione dell’iconoclastia, era stato attaccato dall’Esarca di Ravenna dietro ordine dell’Imperatore bizantino, che ne aveva ordinato la cattura e la traduzione a Costantinopoli, dove avrebbe fatto una brutta fine, come era accaduto a Papa Martino I, nel 653, per dissensi teologici con l’imperatore del suo tempo. Nell’ opera del dotto studioso, di cui qui trascriviamo alcuni passi, si legge, infatti, che “i loro Re, Liutprando, Rachis, Astolfo, Desiderio, etc., erano tutti credenti e buoni cattolici, al punto che – ci permettiamo di aggiungere noi – Rachis aveva persino deposto lo scettro reale per vestire il saio monacale. e ritirarsi in convento. Niente – afferma ancora il dotto studioso – avrebbe impedito al Papa di occuparsi, come per il passato, degli affari religiosi d’Occidente e d’Oriente e niente prova che i Longobardi vi avrebbero portato la capitale, affezionati, come ormai erano, a Pavia, loro capitale tradizionale fin dall’arrivo in Italia. In altre parole – così conclude sull’argomento – nella sostanza i Papi non avrebbero perso assolutamente niente a passare dal regime bizantino a quello longobardo”. Anzi, ci permettiamo di aggiungere noi, ne avrebbero senz’altro guadagnato, ottenendo una maggior libertà d’azione in campo religioso. Infatti, se Roma fosse politicamente passata al Regno Longobardo, i Romani Pontefici sarebbero stati certamente molto più liberi di quanto non lo erano stati fino allora in regime imperiale, perché i loro Re non si sarebbero mai arrogati di immischiarsi in questioni di carattere religioso, men che meno di natura teologica, come era sempre stata deplorevole abitudine degli Imperatori Bizantini, vedasi – per dirne una – la questione dell’iconoclastia di cui s’è detto, che ha quasi diviso la Cristianità. Il fatto vero era che ai Papi di quell’ epoca la Tiara Pontificia andava ormai stretta ed aspiravano alla corona, ossia all’ ottenimento della sovranità politica su Roma e sull’Italia Centrale, come dire di poteri sovrani, in aggiunta a quelli religiosi, che ritenevano con essi non incompatibili, anzi funzionalmente collegabili. Il guaio soprattutto è che – de facto, se non de jure – sono riusciti ad ottenerla e che l’hanno conservata per mille anni, con immensi danni per l’Italia, per la Città di Roma e – perché no? – anche per il prestigio e soprattutto per gli i interessi della stessa Chiesa, che senza quel potere politico avrebbe probabilmente evitato lo scisma d’Oriente e la riforma luterana.
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