BERSANI FAREBBE MEGLIO A DARSI UNA CALMATA PERCHÉ I COMUNISTI COME LUI HANNO UNA VALANGA DI SCHELETRI NEGLI ARMADI DA TENERE BEN CHIUSI. UNO È QUELLO CHE RIPORTIAMO OGGI E SE I POST COMUNISTI CONTINUANO, TIRIAMO FUORI ANCHE GLI ALTRI.
Noi che siamo liberali e garantisti, e che non abbiamo dato il voto a nessuno di questi cialtroni eletti in parlamento che ci stanno ridicolizzando agli occhi del mondo, rinfreschiamo la memoria a chi tendenzialmente dimentica o perché arteriosclerotico o perché in malafede. E la rinfreschiamo soprattutto a chi bacchetta gli altri, perché in Italia, veramente, ce n’è per tutti. Nessuno escluso. Per esempio cosa si può pensare di quando Napolitano nel 1956 disse: “in Ungheria l’Urss porta la pace” e quando, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest, mentre Antonio Giolitti e altri dirigenti di primo piano lasciarono il Partito Comunista Italiano, e “l’Unità” definiva teppisti gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano si profondeva in elogi ai sovietici. L’Unione Sovietica, infatti, secondo lui, sparando coi carri armati sulle folle inermi e facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, avrebbe addirittura contribuito a rafforzare la pace nel mondo. L’attuale nostro Capo dello Stato (le iniziali maiuscole le mettiamo per rispetto all’Italia e non certo al filosovietico Napolitano) nel novembre del 1956 ebbe modo di dichiarare: “Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato? È assurdo oggi continuare a negare che all’interno del partito ungherese – in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese – non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. È assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese. Il compagno Giolitti – continua la dichiarazione dell’attuale Capo dello Stato Italiano (le iniziali maiuscole le mettiamo per rispetto all’Italia e non certo al filosovietico Napolitano) – ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l’obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l’intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere – e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato – che l’intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell’Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo”. La risposta al nostro Capo dello Stato Italiano (le iniziali maiuscole le mettiamo per rispetto all’Italia e non certo al filosovietico Napolitano) che, non bisogna dimenticare, fu quello che tenne i rapporti per decenni con l’URSS per consentire il flusso dei cospicui finanziamenti al PCI dal 1936 al 1990, l’ha data il governo ungherese che in una nota ha fatto sapere tre anni fa: “Napolitano non venga a Budapest. Con il Pci appoggiò i russi invasori”. Un portavoce dei superstiti: “Tardivo il suo ripensamento, chi pagò con la vita non vorrebbe essere commemorato da lui”. Insomma, hanno perdonato Boris Eltsin, erede dei loro carnefici, ma non Napolitano (l’iniziale maiuscola è solo per motivi morfologici e grammaticali). Potrebbero, sforzandosi, mandar giù anche un boccone indigesto come Vladimir Putin l’opportunista, ma Giorgio Napolitano no, proprio no. Il nostro Presidente della Repubblica Italiano (le iniziali maiuscole le mettiamo per rispetto all’Italia e non certo al filosovietico Napolitano) non merita sconti e in Ungheria non lo vogliono. In occasione del 50° anniversario del massacro comunista (25.000 patrioti ungheresi, donne e bambini compresi, massacrati dalle belve comuniste tanto care a Togliatti, che organizzò l’invasione, Bersani e Napolitano) gli ungheresi sono insorti quando hanno saputo che il presidente ungherese Laszlo Solyom aveva invitato per l’autunno del 2006 a Budapest anche Giorgio Napolitano (le iniziali maiuscole sono solo per motivi morfologici e grammaticali) si sono ribellati e nove parlamentari hanno firmato una lettera-appello per chiedere che Napolitano non andasse a Budapest. O se proprio teneva a visitare l’Ungheria, lo facesse prima o dopo le commemorazioni. In riferimento alla posizione presa dal Pci nel 1956, la lettera afferma che il documento di allora offrì sostegno internazionale ai sovietici che “repressero nel sangue il desiderio di libertà dell’Ungheria”. E Laszlo Balazs Piri, tra i nove firmatari dell’appello, membro del board della Fondazione, già condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per la sua partecipazione alla rivolta, rilanciava: “Purtroppo i governi dei grandi Paesi occidentali non poterono aiutarci. L’opinione pubblica dei Paesi liberi era accanto a noi. Nello stesso tempo, però, in Paesi come Italia e Francia i Partiti comunisti erano allineati a Mosca. Furono d’accordo con questa resa dei conti sanguinosa contro la lotta di liberazione ungherese. Napolitano a quel tempo non era un bambino e aveva un’opinione”. Ed ora, e giustamente, a poco vale per i reduci della repressione sovietica il ripensamento del presidente italiano. Un dietrofront tardivo, sostengono. E Balasz Piri è stato categorico: “La comunità dei veterani del 1956 sente che quest’uomo non deve partecipare alle commemorazioni del ’56 ungherese. Chissà cosa direbbero quelli che sono stati impiccati in seguito alla repressione”. Il nostro presidente fu costretto a non presenziare alle manifestazioni e si recò in Ungheria il 26 settembre 2006, quindi prima delle commemorazioni ufficiali e un po’ alla chetichella, rendendo omaggio alle vittime della rivoluzione del 1956 (che durò dal 23 ottobre al 10 – 11 novembre 1956), soffocata nel sangue dai carri armati sovietici. In quell’occasione ha detto: “Ho reso questo omaggio sulla tomba di Imre Nagy a nome dell’Italia, di tutta l’Italia, e nel ricordo di quanti governavano l’Italia nel 1956 e assunsero una posizione risoluta, a sostegno dell’insurrezione ungherese e contro l’intervento militare sovietico”. Per la carità! Che faccia tosta presidente! Non una dichiariazione sulle responsabilità sue e dei suoi compagni di partito, non una richiesta di perdono alle vittime (forse 25.000), non un’affermazione che defisse il comunismo male assoluto. Bersani fai il bravo che è meglio per tutti.
Leave a Reply
Devi essere connesso per inviare un commento.