I PRIMI DRAMMATICI ERRORI POLITICI DELLA CHIESA CHE HANNO PORTATO ALLA ROVINA D’ITALIA
di Carlo Grossi
(quinta puntata)
Lo osserva, con la consueta acutezza, il già ricordato studioso ecclesiastico francese Monsignor Duchesne che, avendo passato una vita a Roma consultando a fondo e interpretando gli Archivi Vaticani e le altre fonti ecclesiastiche, ne ha tratto originali ed esatte deduzioni storiche – al di fuori dei tradizionali pregiudizi – convenzionali, non sempre allineate con quelle tradizionalmente adottate dalla Curia Pontificia con la quale ha avuto per esse non poche difficoltà. In una sua intelligente opera sull’argomento, edita anche in Italia, è infatti ricordato da quell’insigne studioso che a quell’epoca gli elementi originari ariani e pagani dei Longobardi erano assimilati da un pezzo, perché ormai essi, erano oramai cattolici, ei loro Re lo avevano dimostrato coi fatti, intervenendo, armi alla mano, in difesa del Papa Greogorio II quando, per la questione dell’iconoclastia, era stato attaccato dall’Esarca di Ravenna dietro ordine dell’Imperatore bizantino che ne aveva ordinato la cattura e la traduzione a Costantinopoli, dove avrebbe fatto una brutta fine, come era accaduto a Papa Martino I, nel 653, per dissensi teologici con l’Imperatore del suo tempo. Nell’ opera del dotto studioso si legge infatti che i loro Re, Liutprando, Rachis, Astolfo, Desiderio, etc., erano tutti credenti e buoni cattolici, al punto che Rachis aveva persino deposto lo scettro reale per vestire il saio monacale per ritirarsi in convento. Niente – afferma ancora il dotto studioso – avrebbe impedito al Papa di occuparsi, come per il passato, degli affari religiosi d’Occidente e d’Oriente e niente prova che i Longobardi vi avrebbero portato la capitale, affeziona ti, come ormai erano, a Pavia, loro capitale tradizionale fin dall’arrivo in Italia. “In altre parole – così conclude sull’ argomento – nella sostanza i Papi non avrebbero perso assolutamente niente a passare dal regime bizantino a quello longobardo”. Anzi, ci permettiamo di aggiungere noi, ne avrebbero senz’ altro guadagnato, ottenendo una maggior libertà d’azione in campo religioso. Infatti, se Roma fosse politicamente passata al Regno Longobardo, i Romani Pontefici sarebbero stati certamente molto più liberi di quanto non lo erano stati fina allora in regime imperiale, perché i loro Re non si sarebbero mai arrogati di immischiarsi in questioni di carattere religioso, meno che meno di natura teologica, come era sempre stata deplorevole abitudine degli Imperatori Bizantini, vedasi la questione dell’ iconoclastia che ha quasi diviso la Cristianità. Il fatto vero era che ai Papi di quell’epoca la Tiara Pontificia andava ormai stretta ed aspiravano alla corona, ossia all’ottenimento della sovranità politica su Roma e sull’Italia Centrale, come dire di poteri sovrani, in aggiunta a quelli religiosi, che ritenevano con essi non incompatibili, anzi funzionalmente collegabili. Il guaio, soprattutto è che – de facto, se non de jure – sono riusciti ad ottenerla e che l’hanno conservata per mille anni, con immensi danni per I’Italia, per la Città di Roma e- perché no?- anche per il prestigio e soprattutto per gli i interessi della stessa Chiesa, che senza quel potere politico avrebbe probabilmente evitato lo scisma d’Oriente e la riforma luterana.
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