Oggi abbiamo lavorato molto, le notizie erano tante, e poi ho avuto qualche problema coi collaboratori: contrattempi, malintesi, un po’ di nervosismo in tutti. Succede, specialmente in redazione, dove si va a rotta di collo per star dietro ai fatti che non aspettano nessuno. Ma è andata bene, alla fine erano tutti contenti. Avevamo fatto un buon lavoro. Anche Tino, il mio gattone rosso di sette chili, rigorosamente intero, nel senso che non è castrato perché l’ho lasciato come l’ha concepito il Padreterno, è rientrato stanco ed è andato subito a dormire. Mi ha salutato con un “miaooo” liberatorio: anche per lui, evidentemente, la giornata è stata difficile. Per fortuna non aveva ferite, la corte alle gatte del quartiere non ha comportato duelli rusticani con altri felini con le palle come lui. Gli lascio i crocchini e l’acqua fresca, controllo la caldaia ed esco per tornare a casa. Spengo la luce e chiudo la porta dietro di me. Inizia a far freddo e mi devo imbacuccare bene. È quasi mezzanotte e in giro non c’è quasi nessuno. Solo i miei passi fanno rumore. Mentre cammino, come mi succede sempre quando è finita la giornata ed io mi posso concedere un po’ di tranquillità, penso alla situazione in cui versa Alessandria, dove si sta consumando una lotta livida e tremenda fra gruppi contrapposti: una destra che ha governato per 15 anni (Calvo e Fabbio) ed una sinistra che ha governato per cinque anni e che ora si prende la rivincita. Ma è una lotta per bande fatta di colpi bassi, perché in Italia la politica è così. L’Italia è il Paese dei talenti senza carriere e delle carriere senza talenti. Dove tutti sono insoddisfatti: i primi perché non hanno quel che meritano, i secondi perché, non meritando quel che hanno, non riescono ad apprezzarlo ed a realizzarsi sul lavoro. Quindi rubano perché è l’unica soddisfazione che rimane loro. L’Italia è il paese delle raccomandazioni, del “non ti esporre perché non si sa mai”. Franza o Spagna purché se magna. È una gabbia per tutte le persone sensibili e intelligenti nonostante abbia dato al mondo i più grandi artisti. Ma l’Italia è anche il Paese dello “stellone”, retaggio di una tradizione sbagliata, impastata di superstizione, che vuole in processione tre o quattro madonne, che ha nel suo Dna la cultura religiosa mutuata dai pagani. Un paese, l’Italia, dove per evitare le alluvioni in certi posti del sud si porta la statua del santo patrono sulle rive del fiume il più delle volte con tanto di benedizione da parte del parroco se non addirittura del vescovo. Un paese dove i camorristi e i mafiosi tengono in casa decine di statue di madonne, cristi e santi vari. È la patria delle contraddizioni dove predomina la cultura della mamma, più al sud che al nord, della chioccia che protegge i suoi pulcini, così, invece di proteggere la mamma, dalla mamma ci facciamo proteggere. E si capisce pertanto come mai le culture dove la figura dominante è quella del combattente, del cavaliere, dell’uomo forte come quelle giapponese, germanica e anglosassone, siano le prime, le più forti, le cui tradizioni non affidano il proprio destino alla religione ed alle superstizioni ma al combattimento leale e ideale, dove vince sempre il migliore. Non sono culture permeate come la nostra di ritualità approssimative che si affidano all’incenso, ai canti, a modi di fare dolci e sfumati, imprecisi, ma privilegiano comportamenti decisi, rituali geometrici, virili proprio perché la verità non è sfumata ma è netta, geometrica, forte. Le civiltà dominanti sono quelle matematiche proprio perché la matematica è precisa, è universale e uguale per tutti, semplice ed infallibile. Approssimazione, confusione, maleducazione sono gli ingredienti del brodo torbido dove i furbi pescano, e sono anche le cause del nostro declino. Un declino che si rinnova e che parte da lontano perché l’Italia non è più stata una potenza degna di questo nome dal crollo dell’Impero Romano d’Occidente, cioè dal 476 dopo Cristo. “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”! (Dante – Purgatorio 6/76). Che tristezza l’Italia, così bella e cosi tremenda, piena di male che offusca la sua luce naturale. Che tristezza la politica in Italia, senza ideali, fatta di contrapposizioni profane ed utilitaristiche, popolata di ladri impuniti. Com’è triste il popolo di chi non va a votare, popolo cui anch’io appartengo. Un popolo deluso e tradito. E poi che tristezza dover aspettare sempre l’uomo della provvidenza che era il Duce il secolo scorso e Monti oggi. L’uomo che dovrebbe mettere a posto le cose che i disordinati italiani hanno messo fuori posto. E penso alla mia Patria ideale, alla tanto amata Patria, per la quale sarebbe bello essere pronti a dare la vita, ma mi rendo conto che la Patria Italia non c’è, perché è lacerata tra nord e sud, tra fascisti e comunisti, tra cattolici e massoni, una Patria Italia senza identità. Sono quasi arrivato a casa, la notte è fredda ma serena, il cielo terso e alzo gli occhi, qualcosa dentro di me mi dice di guardare in alto. La luna è sopra di me luminosissima e mentre la guardo, per un attimo mi balena un pensiero in testa: la sintesi, occorre la sintesi per fare grande questo straordinario Paese, unico al mondo, vero dono di Dio e pur tuttavia maledetto. Chissà se un giorno qualcuno sarà in grado di terminare l’opera e di arrivare finalmente a questa sintesi tanto auspicata.
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