Da quei giorni, era il 1647, è passata un’era storica; Napoli non è Alessandria, il Prefetto non è il Vicerè e, tanto meno, Monti è il Re di Spagna. Le differenze quindi fra la Napoli di metà ‘600 e l’Alessandria di oggi sono enormi, e abbiamo citato solo le prime che ci venivano in mente. C’è però un’intera classe dirigente autoctona che pare non colga appieno questa banale considerazione. E cosa fa per tentare di uscire dalla trappola del default? Protesta. Questa sedicente classe dirigente protesta, lei fa le fiaccolate organizzate da e con la triplice sindacale, se la prende col Governo muto e sordo “al nostro grido di dolore”, con la Corte dei Conti per aver fatto i conti che i nostri amministratori non sono stati capaci di fare e contro il destino cinico e baro che ci punisce oltremodo una città che, rispetto a tante altre realtà ben più popolose e indebitate, non è stata in grado di gestire una crisi gestibilissima. Lei protesta organizzando una pittoresca marcia del conformismo mandrogno, e di una cosa siamo certi: alla fiaccolata hanno marciato, all’ombra di tanta gente preoccupata e in buona fede, i corresponsabili di questa situazione. Quelli vecchi e quelli nuovi. Quelli che hanno fatto e quelli che hanno lasciato fare. Quelli che “io non c’ero” e quelli che “se c’ero dormivo”. Quelli che non sapevano perché minchioni e quelli che facevano finta di non sapere. Quelli che “a posto io a posto tutti” e quelli che “ a posto i miei amici e poi vediamo”. Quelli che “facciamo come gli altri ma siamo i migliori” e quelli che “facciamo come gli altri ma siamo gli amici dei migliori”. Adesso la nostra comunità è in ginocchio, una comunità dove un metà lavora e l’altra metà lavora per non produrre e vivere alle spalle di quelli che lavorano. E questa classe dirigente (dirigente: participio presente del verbo dirigere = colui che dirige) è trent’anni che non dirige ma è diretta. Diretta da chi ha drenato risorse per avere (piccoli) privilegi e offrire servizi da terzo mondo. Non pensiamo che “ tanto sono tutti uguali”, pensiamo che, invece, il sistema non prevede il ricambio e la possibilità di sterzare. Così chi ha tracciato la rotta ti aspetta sempre sul ciglio della strada, tanto è lì che devi (prima o poi) passare. E ci passano sempre tutti. Nella migliore della ipotesi qualcuno si ferma prima, ma c’è sempre qualcun altro pronto a sostituirlo. Un grande uomo di potere una volta ci disse: “La misura del potere di una persona è direttamente proporzionale al numero degli imbecilli che riesce a piazzare nel sistema, perché solo se sei davvero potente puoi impunemente dare incarichi e responsabilità ad un imbecille. Mai nessuno poi oserà dire che hai scelto un imbecille e tu continuerai a pensare anche per lui”. E loro cosa fanno: protestano, protestano e pensano già al prossimo imbecille da incaricare mentre il nostro uomo di potere è già passato a miglior vita dopo aver deciso un po’ del destino di tutti noi.
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