di Giusto Buroni – CIRN Lombardia
Molti vecchi tecnici come me si sentono in dovere di trasferire ai più giovani (ovvero di divulgare) alcune delle conoscenze, anche non solo tecniche, acquisite studiando e lavorando con passione per tutta una vita, ma incontrano serie difficoltà di comunicazione. A meno che non siano proprietari di una casa editrice devono usufruire dell’intermediazione di un giornale o rivista, spesso non specializzata, e di conseguenza affrontare i problemi dell’indirizzo politico dell’intermediario (perché ogni divulgazione rischia di entrare in conflitto con una corrente politica, anche se il “divulgatore” ne è inconsapevole) e del livello culturale dei collaboratori che manipolano necessariamente il frutto delle fatiche dell’aspirante “comunicatore”. Per un po’ si sopportano i rifiuti o i tagli, poi viene il momento in cui si sente che non si ha più tempo di aspettare e certi atteggiamenti ingiustificati dei giornalisti indispettiscono e creano frustrazione e indignazione.
A me accadde più di una decina di anni fa: l’inviato a New York del più diffuso quotidiano italiano recensì un’opera lirica al Met intitolata, secondo la sua traduzione, “La Regina delle Spade” di Ciaikovskij. La conoscenza dell’autore permise ai più smaliziati di capire che trattavasi di “The Queen of Spade”, o “Pique Dame”, in Italiano “La Dama (Donna) di Picche”. A quei tempi si poteva reclamare solo presso la rubrica dei lettori, la cui caporedattrice (che ha pieni poteri a tutt’oggi e fin dai tempi di Montanelli!), anziché parlarne col Direttore, chiese all’inviato se potesse dar corso alla mia richiesta di rettifica. Solo col suo consenso la rettifica fu pubblicata con mille scuse a me e al pubblico. Fu la prima e, per molti anni, l’ultima volta che il Corriere della Sera riconosceva uno svarione segnalato da me, e questo grazie all’onesto Renzo Cianfanelli. forse oggi in pensione, che riconobbe francamente e pubblicamente la svista. Gli svarioni, in ogni campo (altro fatto preoccupante) dello scibile, si susseguirono tuttavia con crescente frequenza, ma solo rarissime volte e dopo lunghe trattative col Direttore in persona, nel frattempo sostituito, apparve una pubblica rettifica. L’ultimo caso riguardò la falsa notizia della rinuncia definitiva del Giappone all’energia nucleare (30/4 scorso), e il penultimo quello della sostituzione futura di Ariane e Soyuz col modesto razzetto euro-italiano VEGA (23/2). E’ della scorsa settimana invece l’errore, non ancora rettificato, di un supponente giornalista, che si dichiara grande amico di “archistar”, di nome Domenico De Maso, che attribuisce a Enrico Fermi nientemeno che l’”invenzione della fusione dell’atomo di uranio” (Style, 25 maggio): mi è stato promesso dal disponibile direttore un richiamo solenne, ma nulla mi prova che ciò sia avvenuto. L’articolo del De Maso, di un’indicibile mancanza di logica, sostiene anche che gli architetti sono gli unici “geni creativi” che devono gestire, possedendo anche tutte le necessarie conoscenze, numerosi team di altri esseri eccezionali, ciascuno maestro in un diverso campo della scienza e della tecnica; come se i reattori nucleari si potessero costruire solo con un gruppetto di buoni fisici (magari del nostro CNR o dell’ENEA), senza ricorrere agli esperti (elettronici ed elettromeccanici) della sicurezza, ai fisici dei materiali, agli informatici e soprattutto ai costruttori delle protezioni (e delle fondamenta) in calcestruzzo e acciaio, quindi come e più degli architetti!
Tralascio, per una volta, gli aspetti strettamente “nucleari”, e insisto invece sulla scandalosa ricorrenza di false notizie e errate informazioni da parte del Corriere della Sera (e di altri quotidiani di “grido”, intendiamoci), dovuti all’insipienza di collaboratori che, solo perché autori di libercoli di successo sostenuti dalla ricca pubblicità di RCS, vengono autorizzati ad esprimersi su argomenti delicati, dal punto di vista tecnico, politico ed economico, soprattutto filosofico, quali, per esempio, energia e ambiente: cito ad esempio Dacia Maraini, Beppe Severgnini, Giovanni Sartori, ora anche Alessandra Arachi, di cui si promuove “Coriandoli nel Deserto” (Feltrinelli!).
Ma ciò che aumenta lo sconforto è l’ignoranza della grammatica, che fa alternare alle false notizie svarioni che fanno rabbrividire: ultimo caso, un “c’ha” in un grande titolo, che è stato difeso dall’autore (perché nessun autore, a parte Cianfanelli, ammette mai di sbagliare) come una “citazione alla lettera” di una parola veramente detta! Non si rende conto l’esimio giornalista, che se uno ha detto “cià” (“ci ha”, velocemente) nessuno è autorizzato a riportarlo come “c’ha”? Pochi giorni prima tutta l’arroganza dei giornalisti di seconda schiera (quelli di prima schiera disdegnano di rispondere, forse perché sanno che precipiterebbero sempre più nella melma) si è manifestata col solito incidente della misura delle polveri sottili in milligrammi invece che in microgrammi. L’autore della trovata, un certo Valtolina, così si spiega, scrivendomi in privato: “a noi giornalisti è sconsigliato usare lettere greche,…..quindi se io all’inizio dell’articolo scrivo per esteso microgrammi, il lettore dovrà intendere “microgrammi” ogni volta che in seguito uso l’abbreviazione “mg”,….e mi meraviglio che proprio chi dovrebbe conoscere questi particolari perda del tempo a criticarli….; non intendo cambiare il mio modo di esprimermi…”. Mi è stato promesso in privato da colleghi dell’asino che si passeranno la voce e eviteranno l’errore, cosa di cui ho avuto già qualche prova; ma era già successo anni fa e ad ogni “cambio della guardia” si deve ricominciare da capo; è quello che un mio amico chiama giustamente “fatica di Sisifo” (indicandomi il sito di Wikipedia che spiega chi fosse Sisifo, come se io non lo sapessi…).
Ecco qua, in breve, lo stato dell’arte del giornalismo del Corriere della Sera (e, ripeto, degli altri quotidiani che vanno per la maggiore, quindi del giornalismo italiano, e forse mondiale, tout-court); non meraviglia il tipo e la quantità degli errori, che sono dovuti a varie cause (mi sono pentito mille volte di avere criticato una distratta giornalista a mia insaputa affetta da cancro, che l’ha portata in breve alla morte…), ma mi indigna il rifiuto di correggersi e di imparare, soprattutto quando l’insegnamento, come nel mio caso, viene offerto assolutamente gratis e per il bene del giornale, a cui sono affezionato per antica familiarità.
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