Se potessimo farlo obbligheremmo i politici nostrani a vedere “Furore”, film degli anni 30 che narra le vicende dei disoccupati americani vaganti da uno stato all’altro alla disperata ricerca di un lavoro. Mussolini ne fece comperare centinaia di copie e le distribuì gratuitamente in tutta l’Italia per far vedere la straziante condizione dei lavoratori americani in confronto a quella degli italiani. Ma ben presto, con uguale rapidità, lo fece ritirare quando si accorse che i laceri senza lavoro americani si muovevano in automobile, mentre in Italia gli unici a possederla erano pochissimi privilegiati, e da noi anche la media borghesia ne era priva. Mussolini ignorava che la mobilità è strettamente connessa ad una società industriale avanzata le cui caratteristiche economiche sono esattamente l’opposto della staticità paralizzante propria delle società contadine. Pendolarità di decine di chilometri (e negli USA anche di centinaia) sono assolutamente normali ed irrinunciabili nelle città moderne. Non è un caso che, a partire dagli ultimi decenni del 1800, siano nate le metropolitane con lunghezze che oggi arrivano a superare centinaia di chilometri. Fa eccezione l’Italia in cui una vera metropolitana esiste solo a Milano e serve unicamente una piccola parte della città e dell’hinterland. Il motivo di questo mancato sviluppo è semplice: la Fiat non lo voleva (come non volle i canali navigabili in Val Padana) ed i politici di allora si vendevano esattamente come quelli di oggi. Perciò l’auto in Italia non è un vezzo, non serve solo per andare in gita o per farci l’amore con la ragazza di turno, ma uno strumento indispensabile ed irrinunciabile di lavoro e di vita. L’aver portato il costo della benzina e del gasolio italiani ad essere i più alti del mondo (sì, del mondo non è un errore) è semplicemente una pura follia economica il cui risultato finale sarà quello di incrementare l’inflazione e di soffocare l’economia del paese. Si dirà a giustificazione che il petrolio costa caro. Non è assolutamente vero! Costa caro perché è appesantito da tasse, balzelli di ogni tipo e di ogni genere propri di un’economia con una sopravvissuta visione del mondo medioevale. Il costo reale di un litro di benzina alla pompa, uguale in tutto il mondo, è solo di 10 centesimi di euro. Ed in Venezuela, ove la benzina non è gravata da alcun genere di tasse, è venduta agli automobilisti a questo prezzo. Tra i vari balzelli arcaici che gravano sulla nostra benzina ce n’è persino uno, particolarmente odioso, di 1,03 millesimi di euro ereditato dal fascismo dovuto al pagamento dei debiti contratti per la guerra di Etiopia. Impresa assolutamente autolesionista da un punto di vista energetico, economico, politico e coloniale. In Etiopia non c’era proprio nulla da depredare, ma solo da rimetterci. Dopo sei mesi dall’inizio della guerra tutti i camion costruiti in Italia si erano sfasciati come pure le scarpe e le divise dei soldati. Per sostituirli con altri più efficienti, questa volta comperati negli Stati Uniti, Mussolini, capo di uno Stato i cui conti erano simili a quelli del Comune di Alessandria di oggi, non trovò di meglio che vendere i ricchi pozzi di petrolio dell’Iraq che allora appartenevano all’Eni che li aveva scoperti e perforati. Ossia per motivi di prestigio scambiò gli occhi con la coda. Questi fatti andrebbero narrati nelle scuole per far capire ai giovani molte cose dell’oggi.
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