Fabbio non è Roosvelt e il New Deal alessandrino si è rivelato un boomerang. Prima si commissaria e meglio è. Il prefetto Castaldo non può più far finta di niente.
di Andrea Guenna
Alessandria – La situazione del Comune di Alessandria è gravissima con un dissesto certificato dalla Corte dei Conti di 78 milioni di euro. Si tratta di un deficit strutturale che non segue la congiuntura a differenza del deficit ciclico che può essere riassorbito quando il sistema economico attraversa una fase di crescita. Essendo strutturale, il deficit, anche in fase di crescita, resta invariato pesando come un macigno sulle casse del Comune. Questo il risultato della gestione Fabbio che risponde con un comunicato stampa delirante di questo tenore:
“Per gli amanti della cabala, oggi, Venerdì 17, la Corte dei Conti ci ha rimandati ad una terza adunanza. Se avessero voluto avrebbero deciso subito. Invece hanno allungato di altri 30 giorni la procedura. Andiamo verso le idi di Marzo, ma visto che il rapporto con la Corte non è idilliaco, chiederemo probabilmente l’intervento di un arbitro super partes. È infatti evidente che chi ha attivato il percorso contro di noi, lo fa per distrarre l’opinione pubblica dai disastri che aveva lasciato. A questo punto dobbiamo togliere il puntatore laser dalle mani politiche pericolose di chi ci desiderava morti o comunque avrebbe preferito facessimo Natale in una capanna di qualche Gulag russo. Menomale che Giudici e Giustizia hanno il loro percorso indipendente dai desiderata di Mara Scagni. Alla luce dell’impegno necessario per il bene di Alessandria non possiamo tenere la questione ad uso e consumo delle aspirazioni politiche della sinistra, che preferisce evitare il giudizio degli elettori già espropriati dal loro potere con il Governo apparentemente tecnico. Noi siamo del popolo un’espressione viva e propositiva, non vogliamo essere tenuti a bagno Maria o a ‘bagno Mara’ fino alla sua improbabile candidatura”.
Non facciamo commenti e lasciamo la risposta a Mara Scagni che ha dichiarato:
“Si vede che siamo a Carnevale, posso rispondere così a queste accuse. Il problema è che qui non c’è nulla da ridere. La situazione prospettata dalla Corte è drammatica. È uno scenario preoccupante e tutti noi cittadini ne pagheremo le conseguenze”.
Fra le tante, resta una domanda che attende risposta ed è volta a capire come sia stato possibile arrivare a questo punto. Fabbio, commettendo gravissimi errori di valutazione e non essendo avvezzo a trattare di economia, ma più adatto alla scena teatrale, ha adattato la politica keynesiana di debit spending alla realtà alessandrina. Non ha funzionato perché si sono ignorati i problemi, ed anche i conti reali, per condurre la collettività lungo sentieri di debito, inteso erroneamente come investimento per rafforzare l’economia. Ma siccome Fabbio non è Keynes e Alessandria non è l’America, tutto ciò è naufragato in un mare di fango. Letale per le casse del nostro Comune è stato il famigerato Piano Strategico, cioè la pianificazione economico-strategica della città. Un progetto faraonico e da libro dei sogni che non poteva funzionare e non ha funzionato, generando solo debiti. Il nostro povero sindaco non ha infatti capito che, per una politica di debit spending, si deve per prima cosa finanziare correttamente il debito con adeguati strumenti, e non semplicemente ignorarlo non pagando i fornitori, o costringendo enti di secondo livello (vedi CISSACA e municipalizzate varie) a dilazionare i pagamenti verso i terzi oltre ogni ragionevole previsione. Questo è creare baratro economico e quindi finanziario. Ma non basta perché non si riesce a capire come sia stato possibile obbligare un’azienda di cartolarizzazione (VALORIAL) ad anticipare soldi per beni comunali che sarebbero stati sempre e puntualmente venduti molto più tardi, e a prezzo inferiore. Si creava in sostanza una leva finanziaria solo ed unicamente a favore del sistema creditizio, ovvero per le banche. Ma non è tutto perché, per pagare i poveri fornitori che aspettano da anni, Fabbio & C. hanno inventato un accordo fasullo con la Cassa di Risparmio di Alessandria (oggi di proprietà della Banca Popolare di Legnano) che pagava – e paga – le fatture al posto del Comune. Risultato è che alla fine sono i creditori a pagare gli interessi di quello che è, a tutti gli effetti, un anticipo sul saldo fatture, per cui pagano gli interessi sui loro soldi indebitandosi al posto del debitore vero che è il Comune. Fabbio non ha capito, fra l’altro, che per realizzare correttamente una politica di debit spending è necessario rivolgersi ad un’economia a ciclo chiuso e non ad un’economia dove i soldi spesi dall’ente locale vanno ad appaltatori di un’altra provincia o comune. Cioè i soldi devono tornare da dove sono partiti e ridistribuiti in loco, perché la politica di New Deal funziona solo se i soldi che girano restano nell’ambito della realtà locale dove vige il New Deal stesso. Nel nostro caso il territorio comunale. Non sono stati rari, a questo proposito, i casi in cui gli appalti si davano a ditte “forestiere” come il Gruppo Gavio, tanto per fare un nome. E Fabbio non ha neppur capito che una politica di debit spending richiede che a perseguirla sia un Ente che abbia la possibilità, quanto meno, di battere moneta legale per fronteggiare gli inevitabili problemi di cassa. Secondo i giudici della Corte dei Conti da anni le spese correnti superano le entrate e s’è fatto ricorso troppo spesso a operazioni straordinarie per riportare in equilibrio i conti. Negli anni di gestione della Giunta del sindaco Fabbio (2007-2012) c’è stato un aumento del debito pari al 125%, ma non è escluso che vi siano ancora sacche di insolvenza da scoprire soprattutto nei confronti delle partecipate: da Atm ad Amiu fino a Svial e Valorial, che non sono state liquidate come chiedevano i giudici. E se il Comune non è finora stato oggetto di ingiunzioni di pagamento è perché, probabilmente, ha pagato parte dei debiti verso terzi ma non quelli con le partecipate che gestiscono i servizi, per cui la ricaduta del fallimento amministrativo è ancora più sensibile da parte dei cittadini. In questa situazione obiettivamente scandalosa sono coinvolti, volenti o nolenti, tutti i consiglieri comunali che hanno approvato i bilanci incriminati, per i quali devono risarcire lo Stato per quasi 40 milioni di euro, ed il Ragioniere Capo dottor Carlo Alberto Ravazzano che, per questi motivi, è finito in carcere (oggi a piede libero con l’obbligo di non frequentare gli uffici del Comune). Tuttavia pare che Ravazzano voglia smarcarsi dalla situazione in cui Fabbio e Vandone lo hanno infilato ed ora vuole parlare. È di ieri la notizia che il commercialista alessandrino ha chiesto di essere nuovamente interrogato dal Pm Riccardo Ghio, titolare dell’inchiesta. L’interrogatorio avrà luogo entro fine mese, poi il magistrato in tempi presumibilmente abbastanza rapidi chiederà l’incriminazione degli indagati al Gup, chiamato a fissare l’udienza preliminare. Si tratta del sindaco Fabbio e dell’ex assessore Vandone, incriminati insieme a Ravazzano per falso, truffa e abuso d’ufficio. In sostanza a Fabbio, Vandone e Ravazzano si contesta di aver aggiustato i bilanci inserendovi maggiori entrate e riducendo o cancellando le spese. Il tutto per rispettare il Patto di Stabilità. Per il Pm, l’atto di falsa attestazione del rispetto del Patto di stabilità è stato sottoscritto da sindaco e ragioniere capo, ma si deve riferire anche all’allora assessore Vandone, quantomeno a titolo di concorso morale. Ora la palla passa di nuovo all’inerte prefetto Francesco Castaldo che non può più ignorare la situazione e deve intervenire col commissariamento. Lo deve fare per la legge ma anche e soprattutto in coscienza perché la città è in ginocchio; si rischiano fallimenti a catena per i debiti non onorati dal Comune nei confronti dei fornitori, la paralisi amministrativa pubblica ed il degrado.
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