di Andrea Guenna
Alessandria – Come ogni anno, da un po’ di tempo a questa parte, scoppiano le polemiche su chi commemora le Foibe e chi no. Per chi non lo sapesse, soprattutto per i più giovani, tra il 1941 ed il 1946, a guerra ormai finita (la Seconda Guerra Mondiale 1939-45), in Istria i comunisti del maresciallo Tito hanno massacrato migliaia di italiani (alcuni dicono 10.000, altri arrivano anche a 30.000, ma il numero delle vittime è ancora oggi incerto) gettandoli – vivi e morti insieme – nelle foibe, che sono delle caverne verticali o pozzi tipici della Venezia Giulia e dell’Istria, che assumono spesso dimensioni spettacolari. Qualcuno è riuscito a salvarsi ed a testimoniare l’eccidio. La persecuzione si rifaceva ad un’equazione rozza ed elementare per cui “italiano” voleva dire “fascista”, e la bestialità dei comunisti titini non risparmiò neppure molti nostri partigiani che avevano combattuto in quelle zone, solo perché, appunto, italiani. Numerosi furono infatti gli arresti e le deportazioni di antifascisti, dei quali solo alcuni avrebbero poi fatto ritorno dai campi di concentramento dopo lunghi periodi di detenzione. I motivi che stanno alla base di quei tragici avvenimenti sono da ricercare nella contrapposizione nazionale ed etnica fra sloveno-croati da una parte e italiani dall’altra. Ciò ha generato opposti irredentismi, per cui i territori mistilingue della Dalmazia e dell’allora Litorale Austriaco dovevano appartenere, in esclusiva, all’uno o all’altro ambito nazionale, e quindi all’uno o all’altro stato. Le conseguenze della prima guerra mondiale, con una fortissima battaglia diplomatica per la definizione dei confini fra il Regno d’Italia e il neonato Regno di Serbi, Croati e Sloveni, e le conseguenti tensioni etniche che portarono a disordini locali e compressioni delle rispettive minoranze fin dal primo dopoguerra, non definirono mai il contenzioso internazionale, per cui il ventennio fascista tentò un’assimilazione forzata delle popolazioni slave della Venezia Giulia. L’occupazione da parte dell’Italia fascista di vaste zone della Jugoslavia comportò anche crimini di guerra contro la popolazione civile, anche con la collaborazione determinante dei fascisti croati, i tristemente noti ustascia. D’altronde, la visione, secondo un’ottica comunista, della guerra di liberazione jugoslava non solo come “nazionale”, ma anche come “sociale” e “politica”, faceva sì che la popolazione italiana, che era l’elite della zona, la più colta e la più ricca, fosse percepita anche come “classe dominante” quindi essenzialmente “nemica del popolo”, in forza di una concezione veterocomunista della storia e della politica. Per questi motivi si sviluppò con vigore e si realizzò il regime comunista jugoslavo ed il fenomeno delle foibe venne ad assumere un movente politico, volto ad annettere la Venezia Giulia alla Jugoslavia, Trieste e Gorizia comprese, con la conseguente – ed abituale per le popolazioni slave – pulizia etnica, per cui si volevano neutralizzare quelli (essenzialmente italiani) che si opponevano all’annessione di queste terre. Ma oltre alle motivazioni, che, al di là della propaganda, molti nostri politici un po’ ignoranti dovrebbero studiare per rendersi conto del fenomeno, i martiri italiani devono essere assolutamente commemorati. Sempre e comunque, al di là degli steccati ideologici e politici che devono, una volta per tutte, essere rimossi. Tuttavia, ancora oggi, tutte le “giunte rosse” della nostra provincia, Novi e Ovada in testa, oltre alla stessa amministrazione provinciale, anche lei schierata a sinistra, ancora vittime di una propaganda dell’odio e della bieca intransigenza, ottusa ed ipocrita, tipica di alcuni vecchi comunisti, quelli che Giovannino Guareschi chiamava “Trinariciuti” con la terza narice utile per scaricare il muco contenuto nel cranio al posto del cervello, hanno dimenticato i nostri italiani massacrati in quegli anni. In compenso in Val Borbera è stato ricordato ieri il sacrificio del partigiano russo Fedor Poletaev, ucciso nella Battaglia di Cantalupo il 2 febbraio 1945 mentre stava proteggendo il momentaneo arretramento di alcuni compagni. Fedor Poletaev approdò nella Resistenza dopo essere fuggito da un campo di concentramento vicino a Tortona. Noi liberali siamo pienamente d’accordo a commemorare il povero Poletaev, pur non dimenticando che allora i russi erano nostri nemici venuti da noi per farci la guerra, anche se per noi tutti i morti, di qualsiasi appartenenza, sono da compiangere. Ma diamine, non dobbiamo dimenticare i nostri martiri per poi ricordare quelli degli altri! Nel nostro piccolo quei martiri italiani li ricordiamo noi in queste righe, da questo sito, per rimediare ad una gravissima ingiustizia commessa da certi politici che sono, o ignoranti o in cattiva fede. Ci dispiace per loro. Omnia munda mundis.
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