Sfugge alla nostra modesta capacità intellettiva comprendere gli arcani motivi per cui, sui mezzi di informazione di massa italiani, nessuno escluso, le puttane debbano chiamarsi “escort”. Improprio termine di origine anglosassone, un tempo generalmente usato per indicare il ruolo militare dei cacciatorpedinieri, ma da noi bizzarramente ritenuto un raffinato eufemismo cosmopolita del mestiere più diffuso e vecchio del mondo. In realtà ad essere inaccettabilmente volgare (nel senso letterale del termine) è proprio la parola escort rivelatrice, da parte di chi la usa, di una palese insufficienza nell’uso della lingua italiana, e ancor più di quella inglese, nonché una provinciale esterofilia. In realtà puttana è un perfetto termine in italiano classico, nobilitato anche da Dante nella Divina Commedia che lo usa nei versi dell’Inferno dedicati a Taide, e non privo di una certa giovanile eleganza visto che deriva da putea “ragazza”. Vocabolo di antica origine, ma ancor vivo nella parlata veneta, da molti considerata una lingua con tanto di letteratura. Questa nostra disquisizione non è fine a se stessa, ma ha uno scopo ben preciso: mettere in guardia chi ci legge dall’abitudine italica di cambiare i nomi delle cose. In merito, un dato è assolutamente certo ed incontestabile: ogni cambiamento cela in realtà una truffa o un inganno collettivo da parte di una classe politica che ha fatto dell’infamia ragione e metodo di sopravvivenza. E ciò vale in tutti i campi: ad esempio, l’elegante ed ipergarantista avviso di garanzia cela in realtà un pesante interrogatorio per reati gravissimi. Il termovalorizzatore, oggi tanto citato, altro non è che il pericolosissimo e superinquinante inceneritore di rifiuti di sempre. L’unica cosa che valorizza è la propria azione teratogena (aumento dei tumori) e mutagena (nascita di bambini deformi). Ugualmente le centrali a biomasse, novello termine delle antiche centrali elettriche a legna, sono a dir poco sospette, ecologicamente sbagliate e sicuramente diseconomiche, specie se dichiarano di bruciare paglia, stralci di viti e ramaglie. E di bio non hanno assolutamente nulla. Fare energia elettrica bruciando legna è una pura follia distruttiva. Non lo fecero nemmeno durante la seconda guerra mondiale, quando l’energia era più preziosa dell’oro e mancavano combustibili di ogni genere. Bruciare legna vuol dire disboscare e desertificare le zone montane e collinari (il legno coltivato in pianura serve per fare la carta e le fibre tessili artificiali, e non certo per bruciare) creando frane ed alluvioni. Il legno produce pochissime calorie, circa 3000 contro le 7500 del carbone e le 10000 del gasolio ed ha costi di raccolta e gestione economicamente inaccettabili. Per usare il legno di scarto, l’unico economicamente valido in questo impiego, basterebbe una sola centrale nell’intera area Piemonte, Lombardia e Liguria. All’opposto, nel solo Piemonte hanno concesso ben 12 permessi, non giustificabili sotto alcun punto di vista. Sono impianti che nascono e prosperano in un solo ed unico modo: innaffiando di disonestà un terreno di ignoranza e malafede.
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